lunedì 17 maggio 2021

Da Manzoni a oggi, il virus e la negazione della realtà

Il virus e la negazione, oggi come quattro secoli fa. Scomodiamo Manzoni e vediamo come, nei tre capitoli che lo scrittore dedica alla peste ne “I Promessi sposi” il comportamento che le autorità e la popolazione rivolsero alla propagazione del contagio fu simile a quanto ci è toccato vivere in prima persona con il Covid 19. Corsi e ricorsi dell’animo umano? Vediamo. Nel capitolo principale, che narra la diffusione del morbo, il XXXI, Manzoni narra di come il medico Lodovico Settala, “protofisico” di lunga e verificata esperienza, dette l’allarme del ceppo che si era sviluppato nei dintorni di Lecco. Le autorità, ricevuta la notizia, inviano dei delegati nella zona, delegati ai quali si offre uno spettacolo di morte: “paesi chiusi da cancelli all’entrature, altri quasi deserti... numero de’ morti spaventevole”. Milano, come misura precauzionale, decide di proibire l’ingresso in città agli abitanti delle zone colpite, ma è solo dopo due settimane, che il governatore chiama a riferire i delegati. Ascoltate le notizie, il governatore dimostra dispiacere ma, in fin dei conti, ritiene “i pensieri della guerra esser più pressati” e due giorni dopo ordina pubbliche feste per la nascita del principe Carlo, primogenito di Filippo IV: “come se non gli fosse parlato di nulla”. Dall’allarme sanitario è passato più di un mese.

La negazione, la Verneinung come affermava Freud, è un meccanismo di difesa, ma probabilmente nulla ne sapevano di psicologia dell’animo umano gli abitanti del Milanese, che accolgono le drammatiche notizie più o meno con la stessa disgraziata flemma del loro governatore spagnolo. “Ciò che fa nascere un’altra e più forte maraviglia” scrive Manzoni “è la condotta della popolazione medesima, di quella voglio dire, che, non tocca ancora dal contagio, aveva tanta ragione di temerlo... chi non crederebbe che vi si suscitasse un movimento generale, un desiderio di precauzione bene o male intese, almeno una sterile inquietudine? Eppure, se in qualche cosa le memorie di quel tempo vanno d’accordo, è nell’attestare che non ne fu nulla”. Tutto questo mentre il Tribunale della sanità “chiedeva, implorava cooperazione, ma otteneva poco o niente”.

Il popolino si fa beffe di chi avvisava del pericolo. Ha cose più importanti a cui pensare e, mentre le autorità vanno a caccia dell’untore (il paziente zero l’abbiamo chiamato oggi), quando i primi sporadici casi della peste vengono registrati a Milano, cerca e trova il medico Lodovico Settala, l’unico esperto in grado di fare qualcosa per la comunità, per rinfacciargli di essere lui “il capo di coloro che volevano per forza ci fosse la peste; lui che metteva in ispavento la città”. Chi denuncia i casi di peste diventa un nemico della patria: è però proprio il negazionismo a provocare la diffusione della peste.

Il completamento del corollario avviene quando, ormai consolidato il fatto che Milano è colpita dalla peste (epidemia che farà più di un milione di morti nell’Italia centro-settentrionale) si continua a negare la realtà. La peste non è un fatto naturale, ma il risultato di chissà quale stregoneria sparsa nel paese da agenti stranieri. Manzoni, alla fine del XXXI capitolo, si lascia andare a un proprio giudizio morale sulla condizione umana (“anche noi, dico noi uomini in generale, siamo un po’ da compatire”): quando è sgradevole, rifuggiamo la realtà.

Le similitudini tra le due epoche si sprecano. Allora, era l’autunno 1630. Nella tragica stagione 2020-21, quasi quattro secoli dopo, poco o nulla è cambiato nell’agire delle autorità e nel giudizio scellerato della gente comune.

1 commento:

  1. Comprensione diversa, lo stesso essere umano dopo 400 anni.

    Interesante.

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