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martedì 20 luglio 2021

Non toccate l'Islam, sacrificate Dante

É morto Kurt Westergaard, il vignettista che nel 2005 pubblicò sul quotidiano danese Jyllands-Posten le famose vignette su Maometto che scatenarono l’ira del mondo islamico. Westergaard subì un attentato nel 2010 nella propria casa e da allora ha dovuto vivere protetto dalla Polizia in una località sconosciuta. Cito Westergaard perché proprio dalla sua vicenda è iniziata una deriva per quanto riguarda la libertà di espressione nel nostro confronto con le altre culture, quella islamica in particolare. 

Quando, nel 1988 uscì il libro “I versetti satanici” di Salman Rushdie, la fatwa scatenata dall’ayatollah Khomeini ci pareva un provvedimento lontano, non solo per una ragione geografica, ma perché obsoleta, situata in un tempo atavico. Una misura medievale, un episodio isolato, che l’Occidente aveva trattato con sufficienza e che aveva cassato con presuntuosa sufficienza. Molto male, perché il Medioevo invece è tornato ed ha messo piede anche in Occidente. Non solo per le imposizioni volute dall’Islam nei confronti della nostra cultura, ma per lo stesso asservimento a cui si prestano i nostri centri politici e intellettuali. Abbiamo coperto le nostre statue (ricordate la visita a Roma nel 2016 del presidente iraniano Rouhani?) ed ora, per fare un altro esempio, la censura alla Divina Commedia di Dante che i paesi islamici da sempre applicano – perché mentre noi ci vantiamo del nostro divin poeta, ci dimentichiamo che è considerato blasfemo nel mondo musulmano-, è diventata un fatto compiuto anche in Europa. Lo scorso marzo, due nuove versioni della Divina Commedia apparse in Belgio e in Olanda hanno rimosso i passi del Canto XXVIII ritenendoli “inutilmente offensivi”, con la puerile spiegazione che “Maometto subisce un destino crudo ed umiliante solo perché è il precursore dell’Islam”.

Censuriamo quindi e continuiamo a cancellare, vergognandoci della nostra cultura. Westergaard si lamentava che la satira fosse sotto tiro (e il massacro del 2015 nella sede di “Charlie Hebdo” lo ha ribadito in forma raccapricciante), ma non si pentiva di ciò che aveva disegnato e ricordava che, nonostante la sua vita fosse in continuo pericolo, “dobbiamo continuare a difendere la libertà d’espressione”. Una libertà che è costata secoli di lotte, sacrifici e martiri e che si deve tutelare oggi anche dagli editori e i promotori della “cancel culture”, che si presentano come i pericolosi savonarola del nostro tempo. Invece di alimentare il confronto e l’incontro tra le culture, forse perché pervasi da quel sentimento di colpa che ottenebra il cuore dell’Europa radical, ci incamminano verso un congedo dalla Storia, promuovendo il nostro declino culturale.  

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