mercoledì 27 gennaio 2021

Sick Rose: "Shaking Street" e il sogno rock'n'roll

Area Pirata ha cominciato in questi giorni la prevendita di “Shaking Street”, versione in vinile deluxe, per un totale di 300 copie numerate. L’occasione è ideale per scrivere di quei giorni, su un disco che ha un po’ diviso chi seguiva i Sick Rose per il cambio di tendenza. Cambio già presente nell’EP dell’anno precedente che aveva un piede nel garage (“Nothin’”, degli Ugly Ducklings) ed un altro nel futuro, con la dichiarazione d’intenti di “It’s Hard”.

Era in atto un cambio naturale, che maturava insieme ai nostri interessi e gusti in campo musicale, dovuto soprattutto alle esperienze di vita. Non c’era nessuno che ci obbligava, le scelte erano esclusivamente nostre. Avevamo perso Rinaldo Doro e il suo Farfisa e, in fondo, quella defezione dettata da esigenze del “porco” lavoro si fondeva con l’ordine naturale delle cose. L’avevamo assimilata e accettata, vivevamo rapidamente.

Le canzoni di “Shaking Street” nacquero on the road, sulla famosa Sickmobile, il Bedford arancione che ci portava in giro per la penisola e per l’Europa e prendevano forma nel casale di Cavagnolo, dove le provavamo rigorosamente in un deposito privo di riscaldamento.  Intanto, era avvenuto un cambio fondamentale. Da band essenzialmente statica, che possedeva un cospicuo tesoretto di ore da dedicare alle prove, eravamo diventati una band in movimento, che svolgeva la sua vita artistica tra viaggi e concerti. Al garage, che era in fondo un genere per teenager o, all’estremo, per collezionisti e intenditori, si succedeva un suono più maturo, un rock grezzo che definiva l’esperienza diretta di una band il cui elemento era la strada.

Se “Faces”, il primo LP, esprimeva la passione adolescenziale e fondeva in un disco migliaia di ascolti di chi cerca di magnificare i propri idoli, “Shaking Street” interpretava in musica il vissuto. I concerti, i tour, i dischi ci avevano trasformato in un periodo breve in una consumata rock and roll band, una delle poche (si contano sulle dita di una mano) che ci fossero in Italia. Senza sentirci italiani. Ci confrontavamo con i Miracle Workers, i Fuzztones, i Nomads; frequentavamo le stesse venue di Nirvana, Pixies, Meat Puppets. Dal vivo spaccavamo davvero e ogni nostra esibizione era l’esposizione di sangue, sudore e lacrime di chi la musica la sentiva come linfa vitale. Non c’era inganno con i Sick Rose, non c’era un piano prestabilito a rasentare un tranello (e il tempo ci ha insegnato che molti compagni di strada del periodo quel piano ce l’avevano e l’hanno sfruttato), siamo stati autentici fino all’ultimo. “Shaking Street” rappresenta in pieno quello che eravamo: veri, schietti, incazzati. Era il 1989, e i Sick Rose vivevano un sogno chiamato rock’n'roll.

 

Il disco: “Shaking Street”, nuova veste grafica con cover laminata gatefold, coupon digitale e cd allegato, contenente due bonus track tratte dalla stessa session di registrazione e rimasterizzate. Area Pirata, note di copertina di Roberto Calabrò, lo potete ordinare qui: https://areapiratarec.bandcamp.com/album/shaking-street

Il libro: sempre da Area Pirata, il mio libro su quei giorni, “Everybody Wants to Know”:

http://www.areapirata.com/dettaglio.php?cod=4578

 

venerdì 22 gennaio 2021

Il ceviche, simbolo della gastronomia peruviana

Piatto emblema della cucina peruviana, il ceviche è conosciuto in differenti varianti in tutta l’America Latina. L’elemento base è il pesce crudo –la corvina o il bonito, che abitano l’oceano ma che in Italia si possono sostituire con lo sgombro o la cernia- marinato nel limone. Oltre al pesce, potete anche usare frutti di mare: polpo e gamberetti soprattutto. Il pesce, ovviamente, deve essere fresco, freschissimo. La qualità della materia prima influisce sul risultato finale. La mano del cuoco, poi, fa il resto: cipolla rossa, coriandolo e (se li trovate) chicchi tostati di grano (la cancha), peperoncino. Se non è piccante, infatti, non è ceviche. La ricetta peruviana obbliga all’uso del rocoto –di cui abbiamo parlato qui: https://maledettitropici.blogspot.com/2020/09/il-rocoto-il-peperoncino-del-diavolo.html) o dell’ají, quest’ultimo meno pungente del primo, ma molto saporito.

Per realizzare il ceviche, per prima cosa preparate gli ingredienti: tritate il coriandolo, mondate e affettate sottilmente la cipolla rossa (50g), tritate il peperoncino. Il pesce (250g) va ripulito della pelle e delle spine, quindi va tagliato a dadi. Nel recipiente dove avete posto il pesce aggiungete la cipolla, il peperoncino e il succo di 5-6 limoni, salate e quindi mettete in frigo per un’ora a marinare. Per renderlo più appetitoso, possiamo accompagnare il piatto con il camote (la patata dolce bollita) e anche con l’avocado. Il succo in cui viene marinato il pesce viene servito in bicchierini a parte: è il famoso leche de tigre dalle proprietà afrodisiache. Perché abbia effetto dovete buttarlo giù in un paio di sorsate (nella foto, uno dei nostri ceviche casalinghi, dove si apprezzano il camote, il rocoto e il bicchierino con la leche de tigre).


Il ceviche, dicevamo, è il piatto simbolo della rinascita della cucina peruviana. A Lima il rito del ceviche a pranzo accomuna tutti e non fa distinzioni sociali. Dai mercati popolari di La Victoria o del Callao ai ristoranti alla moda di Miraflores il ceviche è il piatto più servito: in un mese, se ne contano almeno cinquanta milioni di porzioni. Dall’origine incerta –gli spagnoli, proprio i conquistatori, insistono a dire di essere stati loro a portare la ricetta a Lima, sede del viceregno; i peruviani la fanno invece rimontare alla cultura Moche, antica di diciotto secoli- il ceviche ha aperto la strada allo sviluppo attuale della cucina peruviana. A partire dal lavoro svolto dallo chef Gastón Acurio. Nel 2003, già proprietario di alcuni ristoranti a Lima, Acurio decise di percorrere il paese, trascrivendo le ricette, incontrando cuochi, mangiando nelle bettole della costa, della sierra e della selva. Il risultato di quell’esperienza finì in televisione ed in un libro, ¨Perù, una aventura culinaria¨. Da lì in poi è stata una crescita esponenziale di cui il ceviche è l’origine di tutto. Non si tratta solo di preparare una ricetta, ma di unire cultura, opportunità e riscatto sociale, come dimostra nella serie “Ceviche con sentimiento”, che potete trovare, nei suoi otto capitoli, su youtube: https://www.youtube.com/watch?v=E9Wsgr8rZ9M

lunedì 11 gennaio 2021

Più forte di Maradona: la storia del Mágico González

 


 

Quando chiesero a Maradona se ci fosse un giocatore migliore di lui, il Pibe rispose affermativamente: “Certo: è Jorge Alberto González, un fenomeno”. Fuori dalla Spagna e dal suo natale El Salvador è quasi uno sconosciuto, però González, soprannominato il Mágico, classe 1958, è stato uno dei più talentuosi giocatori della sua generazione. A frenarne la fortuna calcistica fu il suo carattere, insofferente a regole, orari e conformismo. “Il calcio per me è un gioco” diceva nelle interviste, “non potrà mai essere un lavoro”. Infatti, nonostante le sue innegabili doti, non riuscirà mai a dare il salto in un grande club.

Nato a San Salvador, il padre Oscar, allenatore di calcio gli mette subito un pallone tra i piedi. Attaccante, magro come un chiodo, faccia alla Rino Gaetano, a 16 anni esordisce nella Prima divisione del suo paese e, vestendo la maglia del Fas, vince due campionati. Le qualificazioni per il Mondiale spagnolo del 1982 lo vedono come protagonista. Nella fase dei gruppi segna cinque gol e alla resa dei conti, il suo El Salvador elimina il Messico di Hugo Sánchez vincendo 1-0. L’impresa sportiva regala un poco di allegria in un paese che sta sprofondando nella guerra civile.

Il Mundial, però, è da dimenticare. La Azul y blanco ne prende dieci dall’Ungheria e poi perde anche contro Argentina e Belgio. La figura fatta è pessima, ma a González arrivano differenti offerte sia dall’Europa che dall’America. Lo vuole il PSG reduce dalla sua prima vittoria di prestigio (la Coupe de France), ma il giorno della firma, a conferma del carattere bislacco, il Mágico non si presenta. Preferisce la Spagna, dove non deve imparare nessuna lingua straniera e a spuntarla è il Cádiz, non proprio una grande squadra visto che è appena retrocesso in Seconda divisione e non vanta nessun titolo.

I compagni di squadra rimangono impressionati. Durante gli allenamenti González palleggia con tutto: arance, palline di ping pong, perfino pacchetti di sigarette. Scommette con i portieri: la palla te la metto là e vince sempre. Ha una facilità di corsa e una progressione impressionante. Dorme, però, anche troppo, perché oltre ai campi di calcio il Mágico ha una grande attrazione per la vita notturna. L’allenatore gli deve mettere un compagno di squadra che lo deve svegliare, metterlo sotto la doccia e portarlo al campo. Quando è acceso, in campo la vittoria è assicurata, altrimenti... Il calcio, come dicevamo, è un gioco, non un lavoro. Il Cádiz, però, torna subito in Prima divisione e, con lui, ci rimarrà otto stagioni, retrocedendo proprio l’anno in cui González abbandonerà il club.

Nel frattempo, arriva la grande occasione. È l’estate del 1984 e il Mágico viene chiamato dal Barcelona che lo porta in tournee negli Stati Uniti. Con Maradona gioca due partite, segna al Cosmos e al Fluminense, incanta con le sue giocate. Il Pibe lo applaude, non aveva mai visto un fenomeno tale e scomoda, per paragonarlo, tutti i grandi nomi dell’olimpo calcistico. Tutto bene? No. González non piace ai dirigenti blaugrana. Dorme tutto il giorno e, la notte, fa casino con Maradona. Viene così rispedito al Cádiz, che invece di tenerlo lo gira al Real Valladolid per una stagione. Ma neanche Los Pucelas ne vogliono sapere di giocatori indisciplinati sia in campo che fuori. Gonz
ález è infatti uno di quelli che non si adattano agli schemi, giocano con fantasia e improvvisazione. Per questo le sue giocate strappano appluasi, i suoi gol sono da cineteca, ma per gli allenatori quel giocatore magro, insofferente alla tattica, è un problema. Cádiz diventerà quindi la sua casa definitiva (nel 1990 rifiuterà l’Atalanta), l’unico posto dove lo capiscono. Il Mágico ripaga l’affetto del suo pubblico guidando la squadra alla semifinale della Copa de Liga, massimo risultato mai ottenuto dalla Banda, dove però sbatte contro la corazzata Real Madrid. Nel 1991, con 33 anni sul groppone, il Cádiz lo saluta e lui ritorna a El Salvador, dove intanto è tornata la pace, nel suo club di sempre il Fas, dove giocherà fino a 41 anni suonati.

La decennale esperienza spagnola lascia il segno. Nel 2011 il suo gol al Barcelona nella stagione 1987-88 viene votato come il più bello nella storia del calcio spagnolo. È un gol alla Maradona: prende palla nella sua metà campo, si porta a spasso tre difensori blaugrana ed infila il portiere che esce per contrastarlo. La vita dopo il fútbol è dura. Per un tempo, finisce a guidare taxi; poi la nazionale del suo paese lo prende come assistente. El Salvador gli dedica pure lo Stadio olimpico, omaggio in vita a quello che è stato considerato come il più grande calciatore centroamericano di tutti i tempi.

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Il comune di Venezia ha annunciato che, a partire da aprile fino a luglio, in certe date stabilite –ventinove in tutto- sarà necessario paga...