giovedì 13 gennaio 2022

L'avventura centroamericana di Giuseppe Garibaldi

Dietro l’abside della Cattedrale di Granada, in Nicaragua, diparte una viuzza di poche decine di metri, che unisce la famosa Calzada a la calle Caimito. Lì, incastonata tra le abitazioni curiali, v’è una modesta casetta in calce bianca che reca una targa: “Aquí en 1851 vivió Giuseppe Garibaldi”. All’epoca era una locanda, “La casa de la sirena” (e la via si chiama ancora così, calle La Sirena) proprietà di un francese e dovette essere ricostruita dopo l’incendio appiccato in città dal filibustiere William Walker nella guerra del 1856.

Garibaldi, quando giunge in Nicaragua, ha 44 anni. Proviene da New York, esule dalla sterile difesa della repubblica romana e dalla morte della sua compagna Anita durante la rocambolesca fuga tra le letali acque di Comacchio. Negli Stati Uniti era arrivato dal Marocco e aveva aiutato Meucci nella sua fabbrica di candele. Quel lavoro, però, non faceva per lui, si annoiava e alla prima occasione prese di nuovo il mare. L’opportunità gliela diede Francesco Carpaneto, amico che aveva armato un vapore e commerciava con il Centro e il Sudamerica. Il 28 aprile i due partono alla volta del Perù, ma ci metteranno mesi ad arrivare. Decidono, infatti, di piazzare alcuni prodotti italiani, importati da Carpaneto, alla Fiera di San Miguel nel Salvador e come base decidono di sistemarsi nella vicina Nicaragua. I due italiani sbarcano a San Juan de Sur il 14 maggio 1851 e prendono alloggio a Granada, nella casa dietro la Cattedrale. Qui rimangono una quindicina di giorni, dal 26 maggio al 12 giugno per poi ritornare più volte durante le peripezie centroamericane. Garibaldi ha l’occasione di visitare altre località del paese: Masaya, León, Chinandega ed El Realejo. Ovunque vada lascia una testimonianza della sua operosità. A Masaya partecipa come muratore alla riparazione di una casa; nella comunità indigena del Monimbò si intrattiene a dare consigli per la costruzione di cesti con una fibra locale, la cabuya; a Granada offre i suoi consigli per installare una fabbrica di candele. Ha pure il tempo di fare la conoscenza di una ricca vedova, la signora Mantilla, con cui si intrattiene più del dovuto.

A Chinandega, il diplomatico britannico John Foster lo incontra e poi scrive al console generale del Centroamerica: “è molto modesto, con un grado estremo di semplicità”. Durante il suo soggiorno si svolge anche uno dei tanti colpi di Stato nel Nicaragua dell’epoca, avvenimento che, però non perturba Garibaldi: i golpisti, infatti, sono giacobini e vedono nel nizzardo un eroe. Garibaldi amava Granada, la cui Calzada defluiva dolcemente verso il grande lago, proprio perché la città gli ricordava un porto di mare. Tentò anche di farsi assumere come capitano del traghetto del Cocibolca, ma il vescovo di León oppose il proprio veto.  

Pur non essendoci testimonianza scritta, è quasi sicuro che Garibaldi approfittò del soggiorno nicaraguense per recarsi a Puntarenas, in Costa Rica, per visitare Giovanni Battista Culiolo, il maggiore Leggero che lo aveva accompagnato nelle peripezie della fuga da Roma ed era stato testimone della morte di Anita nelle valli di Comacchio. Culiolo, lasciata Tangeri, dove era riparato assieme a Garibaldi, aveva scelto di tentare l’avventura in Centroamerica. Stabilitosi in Costa Rica, troverà anche il tempo pochi anni più tardi, di arruolarsi nell’esercito tico per combattere il mercenario William Walker, una decisione che gli costerà il braccio destro, amputato da una cannonata nemica.

Intanto, gli affari con El Salvador non procedono. Garibaldi a metà agosto annuncia che lascerà il Centroamerica per il Perù e, in effetti, il 2 settembre si imbarca con l’amico Carpaneto. Di tutta questa attività, risalta che Garibaldi non ne faccia quasi menzione nelle sue “Memorie” (“In Granada stettimo pochi giorni - e vi fummo accolti gentilmente da alcuni Italiani ivi stabiliti”). Quanto è stato tramandato, infatti, proviene dalla storiografia locale che è invece provvida di dettagli. Garibaldi (che in quel viaggio si faceva chiamare Giuseppe Pane o Ansaldo, “per scansare curiosi e molestie poliziesche”) tratta la parentesi centroamericana con poche righe, ricordando però come, nel viaggio attraverso Panama si ammali di dengue: “In codesto ultimo viaggio, io fui assalito dalle terribili febbri endemiche in quel clima ed in quel paese seminato da paludi. Esse mi colpirono come un fulmine e mi prostrarono - Io, non fui mai, così abatutto dal male come in quell'epoca - e se non avessi avuto la fortuna di trovare degli eccellenti Italiani - tra cui due fratelli Monti - a Panama - e vari buoni Americani - io credo non mi sarei liberato dal morbo”. Insomma, il nostro eroe rischia di morire e l’Unità d’Italia di arenarsi nelle paludi panamensi.

Le città italiane, luna park del turismo

Il comune di Venezia ha annunciato che, a partire da aprile fino a luglio, in certe date stabilite –ventinove in tutto- sarà necessario paga...