lunedì 29 maggio 2023

Lo spirito oscuro di Pinocchio

“E non ebbe fiato per dir altro. Chiuse gli occhi, aprì la bocca, stirò le gambe e, dato un grande scrollone, rimase lì come intirizzito”. Cosa sarebbe successo se il finale di Pinocchio sarebbe rimasto questo, quello di un disonorato burattino morto stecchito, impiccato alla Quercia grande?

Ci saremmo trovati di fronte a un grande romanzo gotico, erroneamente rivolto ai bambini. I primi quindici capitoli di “Storia di un burattino” pubblicati nel 1881 scorrono verso il finale inevitabile, la morte del suo protagonista. L’intenzione di Collodi è quella sin dall’inizio. Basta soffermarsi sui dettagli. L’ambiente solare della campagna toscana viene offuscato dai toni cupi dell’intera novella: la casa di Geppetto “pigliava luce da un sottoscala” e quando Pinocchio ci si ritrova solo tuonava forte forte, lampeggiava come se il cielo pigliasse fuoco”. Quando il burattino deve andare a scuola ha nevicato tutta la notte. Più tardi Mangiafoco “Aveva una barbaccia nera come uno scarabocchio d’inchiostro, e tanto lunga, che gli scendeva dal mento fino a terra: basta dire che, quando camminava se la pestava coi piedi. La sua bocca era larga come un forno, i suoi occhi parevano due lanterne di vetro rosso, col lume acceso di dietro; e con le mani faceva schioccare una grossa frusta, fatta di serpenti e di code di volpe attorcigliate insieme”. Il Grillo Parlante, ucciso con una martellata, riappare come un’ombra lugubre. Nell’ultimo capitolo originale Pinocchio, inseguito nella foresta dal Gatto e la Volpe sembra trovare un’inattesa salvezza: la luce di una casina suggerisce al lettore che Pinocchio si sottrerrà ai malviventi. Invece, la scena che si presenta davanti fa rabbrividire:

... Allora si affacciò alla finestra una bella Bambina, coi capelli turchini e il viso bianco come un’immagine di cera, gli occhi chiusi e le mani incrociate sul petto, la quale senza muover punto le labbra, disse con una vocina che pareva venisse dall’altro mondo:

-In questa casa non c’è nessuno; sono tutti morti.

-Aprimi almeno tu!- gridò Pinocchio piangendo e raccomandandosi.

-Sono morta anch’io.

-Morta? E allora cosa fai costì alla finestra?

-Aspetto la bara che venga a portarmi via”.


È il preludio al finale. Il bosco, la selva oscura che fa ricordare Dante sulla soglia dell’inferno, è l’anticamera del regno dei morti dove la bambina appare a Pinocchio come uno spirito guida che lo porterà nell’aldilà. Subito, il burattino ribelle, che era stato ammonito all’inizio della storia dal Grillo Parlante (“i ragazzi disobbedienti non possono aver bene in questo mondo”), viene preso per il collo dai suoi carnefici e sacrificato.

La storia doveva finire qui. Era il 17 ottobre 1881, ma le proteste dei piccoli lettori e del suo stesso editore, costrinsero Collodi a riprendere la narrazione e a portarla a termine due anni dopo. Non senza, però, essere obbligato ad alcune evidenti forzature, prima fra tutte la trasformazione dello spirito della bambina nella Fata Turchina. Nella seconda parte Pinocchio vive una serie di avventure, alcune anche inquietanti, ma che si muovono sul piano, appunto, dell’immaginario fiabesco, una specie di sogno angosciante da cui ci si aspetta che si svegli da un momento all’altro. E infatti, ecco il finale felice: a vincere è il lettore. Collodi, però, vuole lasciare una firma beffarda su quel finale, tre punti di sospensione: “Com’era buffo, quand’ero un burattino! E come ora son contento di esser diventato un ragazzino perbene!...”. Pinocchio –ci vuol dire Collodi, piccato per la riscrittura del romanzo- ci sta prendendo in giro: un ragazzino perbene non lo sarebbe mai diventato.


Le città italiane, luna park del turismo

Il comune di Venezia ha annunciato che, a partire da aprile fino a luglio, in certe date stabilite –ventinove in tutto- sarà necessario paga...