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martedì 29 settembre 2020

Abraxas: il bene e il male secondo Santana

 

 

Pochi ne hanno parlato, ma tra i tanti anniversari rock, è toccato nei giorni scorsi ad “Abraxas”, di Carlos Santana, compiere 50 anni. Uscito il 22 settembre 1970, il disco è una pietra miliare, la porta d’ingresso delle sonorità latine al rock e al blues, che da lì in poi sono straripate per fondersi nelle maniere più disparate. Per noi, che siamo cresciuti nei ‘70, i solchi di “Abraxas” erano come un passaporto per un mondo, quello latinoamericano, che si identificava con il cuore ingenuo della nostra anima giovane. Gli universi di García Márquez, Manuel Scorza, Alejo Carpentier ruotavano attorno a quei suoni che ne interpretavano la dimensione musicale. Il passaggio da letteratura a musica e viceversa si compiva secondo una naturale trasmigrazione.

Titolo mistico e copertina inconfondibile (“L’Annunciazione”, opera del 1961 dell’artista tedesco Mati Klarwein, lo stesso di “Bitches Brew” di Miles Davis), “Abraxas” ha un respiro lungo, caldo, che si porta addosso l’umidità dei tropici e delle lunghe notti a ridosso dell’equatore. Tra i suoi solchi, è racchiusa una delle più riuscite contaminazioni tra emisferi e mondi dissimili e lontani –a quel tempo- nella distanza: “Black Magic Woman”, scritta nella nebbia londinese da Peter Green, ispirata dai voodoo cajun del profondo della Louisiana e interpretata con spirito da vereda tropical. Il disco regala ascolti indimenticabili, e lo confessa anche un rocker duro e maturo, come Nick Hornby nel suo libro “31 Songs”: “When I first heard Santana's Samba Pa Ti I thought it would be the music to which I lost my virginity”. “Abraxas” si sfoglia come un libro. Nove capitoli, una sola storia, grazie a un suono compatto che va al di là del sound originale di Santana come chitarrista, ma che trova nel congiunto di una band solida la sua qualità principale. La base del latin rock, che si sviluppò successivamente, sta lì, nelle sezione ritmica di Shrieve, Brown, Areas e Carabello, nelle atmosfere di Rolie. A Carlos Santana, a quel punto, non restava che suonare su un piatto servito.

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