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martedì 6 aprile 2021

Amanda Gorman, ovvero la poesia al bivio

Amanda Gorman è la giovane poetessa –appena ventidue anni- che, al discorso inaugurale della presidenza di Biden, ha letto una sua opera, “The Hill We Climb”, commuovendo milioni di persone. Il compito non era facile: su quello stesso palco in passato avevano declamato grandi della poesia come Robert Frost e Maya Angelou. La ragazza, però, è piaciuta subito per quello che è riuscita a trasmettere: la dignità, la fermezza, l’orgoglio, il richiamo all’unità di una nazione ferita. La declamazione, con la tecnica delle spoken words, ha incantato il pubblico. Pubblico che, come spesso accade, si lascia prendere all’amo.

Fermiamo le bocce, dimentichiamoci l’atmosfera di festa per esserci tolti Trump dalle scatole e leggiamo attentamente la poesia. Ebbene, “The Hill We Climb” è poca cosa. Una poesia abbastanza mediocre, ricca di figure retoriche, scritta con un linguaggio elementare, con alcuni passaggi da tema di terza liceo, un discorso da sagra paesana del “volemose bene”. Gli americani, si sa, si emozionano con poco, ma attenzione, facciamo molta attenzione: Amanda Gorman è un’operazione di marketing. E sì, perché da quando è apparsa sul palco a fianco di Biden, Gorman è diventata un prodotto da vendere: il cappotto giallo, il colore della sua pelle, la sua gioventù sono diventati i segni di riconoscimento del prodotto. Ben confezionato, tra l’altro, avvolto in abiti firmatissimi, alla faccia delle minoranze che si spaccano la schiena sui diritti. Non è un caso che, all’indomani della sua performance la ragazza abbia firmato un sostanzioso contratto con la IMG, l’agenzia di modelle più influente al mondo, quella di Kate Moss, Giselle Bundchen, Gigi Hadid, tanto per intenderci. Ha scritto benissimo Martina Testa su Micromega: “... non siamo più sul piano della trasmissione di un contenuto letterario, ma della diffusione commerciale di un brand”.

Ecco: il contenuto letterario, questo sconosciuto. D’altronde, chi legge poesia di questi tempi? Davvero dovremmo preoccuparci di questioni di stile, di contenuto, di analisi del testo? Al pubblico si vende ciò che si impone e il libricino della Gorman farà il suo dovere, facendosi comprare per poi adagiarsi su un ripiano della libreria dove gli sarà richiesto di fare bella mostra di sè a testimonianza dei gusti al passo con i tempi dell’acquirente.

Il marketing, come un fiume, si porta via tutto e sconvolge. Tema delle traduzioni. Perché possa essere inteso il suo messaggio, Gorman chiede di essere tradotta da donne, afrodiscendenti e binarie. Una scelta che ci porta su un territorio alquanto pericoloso. Ma non era che la letteratura serviva a rompere le barriere? Intanto, i traduttori all’olandese e al catalano sono stati sostituiti perché non graditi. “The Guardian” ha scritto: “la Gorman è la voce della nuova era americana”. Un’era che si profila complessa, penosa, che ha cominciato la sua opera revisionista picconando la Storia e che prosegue il suo compito con la degradazione dell’arte.

martedì 8 dicembre 2020

Bob Dylan, saldi di fine stagione

 

Bob Dylan che (s)vende il lavoro di una vita –il catalogo si chiama adesso- alla Universal Music è la mesta immagine della fine di un’epoca. La nostra epoca, nello specifico, quella sofferente ma ottimista di chi oggi ha passato il mezzo secolo e che ha avuto Dylan come cantore e testimone. La vendita di un patrimonio artistico e culturale al miglior offerente (ma non era meglio affidare il tutto a una Fondazione?), significa che possiamo sbaraccare e accomodarci fuori dalla porta: non è più il nostro mondo. La musica è merce, ha un prezzo, l’avevamo capito da un pezzo, ma c’è nel gesto di Dylan un significato più profondo per ciò che l’artista ha rappresentato. Le lotte, i movimenti di protesta a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, gli avvenimenti decisivi o simbolici di quegli anni (l’assassinio di Kennedy, la guerra del Vietnam fino alle storie semisconosciute come quelle di Rubin Carter o di Emmett Till) sono stati colti dalla lirica di Dylan e definiti, scolpiti per rimanere nel tempo. Dylan ha cantato l’America cogliendone il lato oscuro, le contraddizioni, schierandosi che volesse o no con il dissenso, facendosi latore della voce dell’antagonista alle posizioni ufficiali e conformiste. Basta un gesto, però, per rimettere tutto in discussione, sessanta anni buttati nel cesso. Canzoni come “The Times They Are a-Changin’” o “Blowin’ in the Wind” –per citarne due famose- diventano ora il paradosso di se stesse e potremmo riascoltarle in una nuova chiave, appunto, al passo con i tempi che cambiano. Svuotate, ovviamente, del loro significato originale.

Bob Dylan svende, e non vende, proprio perché la sua musica ha un valore inestimabile e qualsiasi prezzo che si sia pagato per essa (300 milioni di dollari?) è irrilevante. E suppongo, sia irrilevante anche per Dylan, dal quale non sapremo mai la motivazione che l’ha spinto alla cessione. Il catalogo (adeguiamoci ai tempi e chiamiamolo così) sarà a disposizione per jingle, saghe commerciali, sottofondo per aeroporti, diventerà colonna sonora nei supermercati, dosato secondo le necessità del mercato e dalle opportunità in termini di soldoni che rappresenta per la multinazionale. Alla Universal dicono che gestiranno il materiale acquisito con grande responsabilità. Sarà così? The answer, my friend, is blowin’ in the wind.

 

In musica: Absolutely Sweet Marie, versione di Jason & The Scorchers, 1984.

domenica 8 novembre 2020

TV, opposizione, viaggi: il futuro incerto di Donald Trump

 

 

È la notizia del giorno, anzi della settimana. Trump ha perso e dovrà lasciare la Casa Bianca a gennaio, avvenimento che ha scatenato un entusiasmo smisurato da parte di chi, di memoria corta e con ingenua euforia, si aspetta grandi cose dal vincitore Biden. Calma, non sarà così semplice. L’ambiente è polarizzato, repubblicani e democratici si troveranno ad affrontare grandi responsabilità. A questo punto, comunque si gira pagina e l’ormai ex Potus dovrà trovare un nuovo lavoro. Esauriti i ricorsi, cosa farà Trump nel 2021? Difficile credere che si imbarchi in un road trip con Melania o che lasci il Paese, come ha dichiarato divertito in un paio di occasioni. Uomo d’azione, ha da lenire una sconfitta bruciante, che non era nei piani e che ne ha intaccato l’orgoglio personale.

Attaccato e deriso dalle televisioni, tradito anche dalla fedele Fox News, Trump potrebbe pensare di comprare e modellare un canale a propria immagine per affrontare tra quattro anni la nuova sfida di una rielezione. I repubblicani, al momento, non hanno candidati forti da presentare alla corsa del 2024 e Trump ha comunque una solida base di votanti. Chi pensa di essersene liberato, deve ricredersi: Biden e Harris dovranno lavorare duro per convincere gli elettori di aver fatto la scelta giusta. Trump vanta uno zoccolo duro, formato non solo dal Midwest e dal sud, ma anche dai latini che ne hanno riconosciuto lo sforzo nel segno da loro sempre ammirato del sogno americano.

Chi potrebbe mettersi in mezzo per la corsa a una rielezione? Prima di tutto, la giustizia. Trump ha in corso due cause, una penale per possibile evasione fiscale e l’altra civile, che dovrà definire se la sua Trump Organization ha mentito sugli attivi ottenendo così vantaggi fiscali. Poi, l’età. Il tycoon nel 2024 avrà 78 anni, un fattore che gli è servito per attaccare ripetutamente Biden nel corso della campagna appena terminata. In politica, però, tutto si dice e nulla ha valore. Quello di gennaio, sarà quindi più un arrivederci che un addio.

Le città italiane, luna park del turismo

Il comune di Venezia ha annunciato che, a partire da aprile fino a luglio, in certe date stabilite –ventinove in tutto- sarà necessario paga...