lunedì 3 aprile 2023

Vietato parlare di pace

“Il robot bomba distrugge la postazione russa”, “I nostri soldati resistono ed eseguono la loro missione: uccidono”, “Proveremo i proiettili all’uranio”, “Non c’è spazio per i negoziati”, “La Polonia vuole più armi”. Titoli di guerra, sempre in prima pagina, pane quotidiano che entra nelle nostre case ad avvelenarci la coscienza. Le immagini ci fanno entrare nel carro armato che scoppia, nel fango delle trincee, ci fanno seguire il tracciato dei missili che abbattono gli elicotteri. Giorno dopo giorno i quotidiani italiani ci assuefano alla guerra. Video, articoli, editoriali, interviste. Da quando è scoppiata la crisi in Ucraina, i giornalisti della stampa e della radio televisione ci spiegano ogni giorno quanto la guerra sia necessaria. In questo contesto, dove è stato scelto per noi chi sia il cattivo e chi il buono, la parola “pace” è scomparsa, al punto da sembrare una vergogna citarla. Chi detiene il potere ha deciso. Eppure sono passati appena venti anni da quando, il 15 febbraio 2003, più di 110 milioni di persone scesero in piazza per dire basta al conflitto in Iraq. Il movimento, denominato dal New York Times come la “seconda potenza mondiale”, si era prefisso il compito di mettere la guerra fuori dalla storia. Una narrazione bellissima, romantica, idealista. Possibile, ma sfumata nel tempo, dissoltasi nell’aria come i petali prematuri del dente di leone.

Il movimento pacifista interpreta, dopo poco più di un anno di conflitto in Ucraina, il sentimento della gente comune, un sentimento nobile e fiero, di chi chiede di deporre le armi, di chi ripudia l’escalation. È un movimento, però, debole, che non riesce a far sentire la propria voce per un semplice motivo: non ha cassa di risonanza. Si può intuire perché. L’informazione che ci viene somministrata ha lo scopo ben preciso di divellere le basi della cultura di pace, ridicolizzando la tolleranza, la solidarietà tra i popoli, la fratellanza. I giornali, le televisioni che ci vendono le loro verità sono guerrafondaie. Sono la macchina di propaganda del bellicismo incosciente. Dobbiamo dire basta. Riporto l’intervento di Enrico Peyretti, che ho avuto l’onore e il piacere di aver avuto come insegnante ai tempi del liceo, che spero, serva a farci riflettere sulla china che abbiamo preso:

...Ogni guerra è intollerabile nemica della vita, di tutti, anche di chi la fa. Non c'è più nessuna guerra giusta, se mai poteva esserci in passato. La vittoria militare non porta diritto e giustizia, ma solo premia la maggiore violenza. Nessuna vittoria militare merita il prezzo del sangue umano, e delle sofferenze dei popoli. Non sono mai "eroi" gli uomini armati. La pace si deve fare ad ogni costo, con la parola e la politica, col disarmo, con la disobbedienza, pagando il prezzo necessario economico, politico, territoriale, deponendo ogni stupido orgoglio, come è necessario per vivere tutti degnamente. Alla guerra non si deve rispondere con la guerra, che non è difesa, ma imitazione di una logica pre-civile, pre-umana. Un popolo cosciente, unito, organizzato, difende il suo diritto solo se insabbia l'aggressore con la coraggiosa disobbedienza totale. Ogni potere esiste solo se è obbedito, se trova consenso. Disobbedire può costare qualche vita, ma con vero onore, mentre la guerra è sempre disonore. Non gli zar e i Napoleoni, ma Tolstoj e Gandhi sono i maestri della politica necessaria oggi. Imparate, stolti imperi Usa, Russia, Cina e servi vostri. Impara Europa, i tuoi Erasmo e Kant, che hai dimenticato!” (Enrico Peyretti).

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