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lunedì 12 ottobre 2020

Quella volta che a Caracas rapirono Di Stefano

 

Fine agosto 1963. Il Real Madrid è in Venezuela per affinare la preparazione in vista del campionato spagnolo. Nello squadrone che ha appena fatto incetta di titoli nazionali e di Coppe Campioni ci sono tutte le stelle di quel periodo: Alfredo Di Stefano, Amancio, Ferenc Puskas e Francisco Gento. La squadra spagnola è a Caracas per partecipare ad un torneo con Sao Paulo e Porto e i suoi spostamenti sono accompagnati da una folla in tripudio.

L’ambiente politico, però, nel paese non è dei migliori. Gli sforzi del presidente Rómulo Betancourt, che dopo la dittatura di Pérez Jiménez vuole riportare il Venezuela verso la democrazia, non sono tollerati né dall’opposizione parlamentare né da quei gruppi paramilitari che, seguendo l’esempio di Cuba, vogliono instaurare un governo comunista rivoluzionario. Il calcio e la presenza del Real Madrid sembrano un pretesto per allentare un poco la tensione. Le merengues stanno riposando quando alla porta della camera di Di Stefano nell’hotel Potomac bussano tre persone. Si presentano come poliziotti e chiedono alla stella del Real Madrid di scendere nella hall per fargli delle domande. L’attaccante accede, ma una volta nel vestibolo, i presunti agenti lo spingono, lo mettono in un’auto e si danno alla fuga. In Spagna, il giorno seguente, non possono credere alla notizia: Di Stefano è stato rapito.

Dietro il sequestro ci sono le fantomatiche Fuerzas Armadas de Liberación Nacional (FALN), braccio armato del Partito comunista che vuole cacciare Betancourt. L’ideatore del piano è il pittore Paúl del Río che porta Di Stefano nel suo appartamento, dove gli offre da mangiare e lo invita a giocare a scacchi. Cerca di calmare il calciatore, spiegandogli che non gli verrà fatto alcun male. Intanto, la polizia lo cerca disperatamente, mentre il Real Madrid mantiene gli impegni contrattuali e, invece di ritirarsi, entra in campo regolarmente. Di Stefano ascolta alla radio la partita dei suoi compagni contro il Porto. Dopo tre giorni, gli dicono di cambiarsi. Gli danno degli abiti nuovi, gli mettono un cappello in testa e lo portano nel centro di Caracas. Qui gli dicono di scendere e Di Stefano vola letteralmente all’ambasciata di Spagna. Rientro in patria? Non se ne parla. Santiago Bernabeu, il presidente, gli dice che deve giocare e due giorni dopo l’attaccante è in campo contro il Sao Paulo. E il sequestro? Un’azione dimostrativa. Le FALN volevano attirare su di sè l’attenzione internazionale e, allo stesso tempo, provare di poter beffarsi della polizia del regime. Operazione compiuta, perché la notizia fa il giro del mondo.

Di Stefano quando torna in Spagna racconta di aver temuto per la propria vita e di aver riconosciuto, tra i poliziotti che lo accompagnavano in campo contro il Sao Paulo, due sequestratori. Un ennesimo avvertimento. Del Río, che si fa tre anni di galera dal 1971 al 1974, sarà sempre fedele alla causa comunista, lottando con i sandinisti prima e poi finendo i suoi giorni come figura del chavismo (suo è il disegno sulla bara di Chávez). A Di Stefano regalerà alcuni suoi quadri che il giocatore apprezza e appende in casa. 45 anni dopo il rapimento, i due si incontrano: finisce con abbracci e qualche lacrima. 

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