Questa settimana si apre il conclave per eleggere il nuovo papa dopo la dipartita di Francesco I. È un avvenimento che interessa tutta la cristianità -2500 milioni di persone in tutto il mondo-, soprattutto perché definirà se la timida apertura voluta da papa Bergoglio troverà un erede o se, invece, si tornerà a una conduzione della Chiesa di stampo conservatore. Tra i tanti temi in sospeso, rimane sempre quello del sacerdozio femminile, irrisolto dagli albori della cristianità. Uno dei miti nati in questo contesto è quello della papessa Giovanna, assurto come monito sulla presenza femminile all’interno della Chiesa.
È ormai accertato che quello della papessa Giovanna fu un mito messo in circolazione con lo scopo preciso di demonizzare la presenza della donna nella Chiesa cattolica. Attraverso la sua parabola si volevano dimostrare i pericoli di un’apertura e, quindi, l’inaffidabilità del genere femminile all’interno della gerarchia ecclesiastica. Non è un caso che, insieme alla storia della papessa Giovanna, apparve nello stesso periodo -siamo alla fine del XIII secolo- anche la letteratura sulle streghe, un universo immaginario che presto venne applicato alla realtà. Più tardi, la storia venne ripresa dagli ambienti protestanti per screditare la Chiesa cattolica in pieno periodo di scisma.
Ma chi sarebbe stata la papessa?
Nelle cronache, alcune controverse, era una donna inglese educata a Magonza
dove, grazie ai suoi travestimenti, sarebbe riuscita a diventare monaco e
quindi addirittura papa nell’855 succedendo a Leone IV con il nome di Giovanni
VIII. Incapace di resistere alle tentazioni della carne, continuò ad avere rapporti
con i suoi amanti rimanendo in cinta. Fu così che, durante una processione
pubblica due anni dopo la sua elezione, venne colpita dai dolori del parto e
scoperta. La reazione della folla fu implacabile: trascinata per i piedi da un
cavallo, fu lapidata senza pietà. Benedetto III, il papa successivo, si
assicurò che il nome della papessa scomparisse per sempre dagli annali della
Chiesa.
La proliferazione della leggenda
avvenne nell’ambito del processo di discredito verso le donne. La storia, messa
in giro da due cronisti, Martino Polono e Giovanni di Metz nella seconda metà
del XIII secolo, trovò terreno fertile nel partito di chi non voleva ammettere
le donne al potere e ancora meno, quindi, al sacerdozio. Alcuni decenni dopo,
nel 1330, il vescovo galiziano Alvaro Pelayo scrisse “De planctu ecclesiae”,
dove descriveva la donna come l’oggetto privilegiato del demonio scatenando di
fatto, la vera e propria caccia alle streghe. Non a caso. L’opera di Pelayo si
prefiggeva di contrastare l’eresia dei Guglielmiti, che veneravano la mistica
Guglielma da Milano, morta in questa città nel 1280. Venerata come
l’incarnazione dello Spirito Santo, secondo i suoi seguaci, la donna sarebbe
salita al cielo per instaurare una nuova gerarchia femminile all’interno della
cristianità. La sua vicaria, Maifreda da Pirovano, aveva assunto i poteri
sacerdotali -destinati solo agli uomini- e predicava per raggiungere il soglio
pontificio. Quando Maifreda officiò la messa pasquale del 1300, accompagnata da
varie diaconesse, intervenne immediatamente l’Inquisizione. Bonifacio VIII
chiese un processo che fosse di monito: sia Maifreda che la sua principale
collaboratrice Giacoma dei Bassani vennero bruciate sul rogo. Ciononostante,
c’era bisogno di una letteratura che definisse una volta per sempre il ruolo
delle donne nell’ambito religioso. Mistiche sì, ma svuotate di potere e in
costante atto di sottomissione verso quella che era la gerarchia ecclesiastica.
La leggenda della papessa Giovanna va quindi considerata come parte di questo
contesto.
Due secoli più tardi, la Riforma protestante
si avvarrà di quella leggenda per farla apparire come un evento realmente
accaduto. Lo scopo era quello di denigrare la Chiesa cattolica: predica bene,
ma razzola male relegando le fedeli a un ruolo subalterno. E, in effetti, a
distanza di tanto tempo il ruolo della donna ancora spaventa e intimorisce.
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