Ricorrono in questi giorni i quaranta anni dalla presentazione nelle sale cinematografiche dell’”Amadeus” di Milos Forman. Grande mistificazione, esercizio riuscito d’intrattenimento, il film oltre a vincere ben otto premi Oscar, rinvigorì la leggenda dell’avvelenamento di Mozart da parte di un astioso e invidioso Antonio Salieri. Niente di più lontano dalla verità, ma intanto Salieri da quel fatale 1984 si è guadagnato l’immeritata infamia di aver soppresso per sempre la voce del musicista più geniale del suo tempo.
Veneto di Legnago, eccellente
compositore, Salieri dovette convivere con il talento di Mozart e subirne le
glorie e il fascino senza, però, patirne più di tanto. Direttore del Teatro
dell’Opera di Vienna a 19 anni, compositore della corte asburgica a 24, con
alunni del calibro di Beethoven, Czerny, Schubert e Liszt, scelto dal neonato
Teatro alla Scala di Milano per la prima rappresentazione in assoluto, Salieri
godeva della massima stima dell’imperatore. Una posizione che significava anche
onori a profusione. Mozart arriva a Vienna nel 1781 e la convivenza crea
l’ambiente per una sana concorrenza, alimentata anche dal fine senso per la
musica di Giuseppe II. Tutto qui. Abbondano però le malelingue. Forse il padre
di Mozart, piccato per l’insuccesso di “Le nozze di Figaro”, forse il poeta
Giovanni Battista Casti, cominciano a mettere in giro falsità. Alla morte di
Mozart la situazione peggiora.
Seriamente ammalato, cieco, Salieri passa l’ultimo anno e mezzo della sua vita in ospedale a Vienna e, sembra, si autoaccusi di aver procurato la morte di Mozart con un veleno. La storia prende piede e viene riportata da differenti fonti come veritiera. Era però un pettegolezzo che girava da tempo, se già nel 1822 Salieri rispondeva a Rossini che lo punzecchiava tra il serio e il faceto sul suo coinvolgimento nella morte di Mozart: “Le sembro un assassino?”. Ritornerà sull’argomento con il musicista ceco Ignaz Moscheles, che lo visita in ospedale quando ormai gli manca poco da vivere: “Posso in assoluta buona fede assicurare che in quella vicenda non c’è nulla di vero”. Salieri muore nel maggio 1825, ma non passa poco tempo che il drammaturgo Puskin fiuta l’intreccio drammatico della vicenda e compone “Salieri e Mozart” –titolo provvisorio: “Invidia”, una cosina da 231 versi-, proponendo al pubblico la leggenda dell’avvelenamento che fino a quel momento era rimasta relegata nei circoli musicali. Finita qui? No, perché nel crepuscolo dell’Ottocento, Rimsky Korsakov pensa bene di trasformare il canovaccio puskiniano addirittura in un’opera. Lo fa inserendo. con tocco da maestro. la storia dello sconosciuto che commissiona il Requiem a Mozart. Dettagli che poco a poco creano un’opera di fantasia che l’inglese Peter Shaffer riprende nel 1979 per il teatro. Da lì, il passo al grande schermo con “Amadeus”.
Il regista Forman avvisa nelle
interviste che si tratta di una libera interpretazione, una fantasia sulla
relazione tra Salieri e Mozart. Ma non è abbastanza. La bufala prende piede e
per più di un ventennio dall’apparizione del film, Salieri viene additato come
il musicista invidioso che provocò la morte di Mozart. L’idea è morbosa, adatta
al grande pubblico, che si ciba di sensazionalismo. Bufala storica a cui molti
credono e pochi sdoganano per quello che è, una storiella da cinema.
Documentarsi, infatti, costa tempo, meglio andare per le spicce: se c’è un film
che ha vinto otto Oscar, deve essere vero. Per Antonio Salieri sono tempi
grami. Poi, poco a poco, la lenta e dovuta riabilitazione.
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