martedì 21 dicembre 2021

La fine ingloriosa del Chupacabras

Che fine ha fatto il Chupacabras? L’essere dai tratti vampireschi che sembrava uscito da un bestiario medievale aveva fatto la sua apparizione del 1995 a Porto Rico per poi percorrere buona parte del Messico e del Centroamerica terrorizzando chiunque al suo passaggio. Bipede, alto 1.20-1.50 metri, dai lunghi artigli e la schiena solcata da aculei, il Chupacabras prese il nome dal sangue che succhiava, proprio come un vampiro, dal collo di animali di bestiame, come capre, pecore, mucche. Un mostro svanito nel nulla all’improvviso, proprio come all’improvviso si era manifestato.

Il Chupacabras appare a fine millennio, creatura replica degli esseri mostruosi che avevano alimentato la fantasia popolare in vista dell’anno Mille. Il Liber monstrorum de diversis generibus redatto da un anonimo cronista della corte di Carlo Magno aprì lo scrigno che conteneva questi mostri che popolavano i boschi, i mari, le notti, ma soprattutto la fantasia dell’uomo medievale. Gli ippocentauri, gli epistigi, le donne con la coda bovina e le zampe da cammello, creature fantastiche zoomorfe o ibride erano arrivati per alimentare le paure dell’uomo medievale. La stessa Bibbia venne presa come testo imprescindibile sul tema: il basilisco, il Behemoth, il Leviatano, il drago dalle sette teste dell’Apocalisse erano creature vivide e veritiere, pronte a castigare il singolo o l’umanità intera. A partire dalla redazione del Liber monstrorum, la presenza di questi esseri mostruosi venne associata al Male, al Demonio che si manifestava in varie forme per avvertirci che la fine era vicina.

I diffusi terrori della fine del millennio (il “Mille o non più mille” di fama rinascimentale) partoriti da un’epoca dalla percezione limitata del mondo, dovevano però riapparire anche in prossimità del nuovo cambio di calendario. La follia millenarista, nonostante i dieci secoli in mezzo, è tornata a creare teorie cospirative e mostri per giustificare la fine del mondo prossima ventura. Il calendario Maya, i suicidi di massa che si sono succeduti prima del 2000, il bug del millennio rientravano nello stesso universo immaginario che nel mondo latinoamericano generò il Chupacabras. 

Come le creature fantastiche sorte in vista dell’anno Mille, il Chupacabras è diventato in poco tempo un segno della fine dei tempi, delle tragedie che ci aspettavano in vista del Duemila. Nell’epoca dell’Internet la fama della bestia, che alcuni indicavano anche come creatura aliena, si è diffusa a grande velocità. I suoi avvistamenti sono avvenuti un poco ovunque (in ogni angolo d’America, dal Maine al Cile, con gite fuori porta nelle Filippine, in Ucraina e in Russia) a testimonianza della follia collettiva che, grazie alla rete, si era impossessata di migliaia di persone. Il Chupacabras era apparso per terrorizzare, punire, mortificare l’umanità. Si aspettava che in qualsiasi momento la sua peculiarità vampiresca passasse dagli animali al genere umano, magari accompagnato da qualche rapimento su navi aliene.

Invece, il fenomeno, un fiume in piena in prossimità del 2000, si è sgonfiato mano a mano che siamo entrati nel millennio. Il Chupacabras, passata la moda millenarista, sparisce. Qualcuno, però, si prende la briga di studiare da un punto di vista scientifico il fenomeno. Si trovano almeno dodici cadaveri di Chupacabras e si mandano ad analizzare. Il Dna è impietoso. I resti della creatura soprannaturale appartengono a cani selvatici e a coyote, resi irriconoscibili dalla scabbia che li affliggeva. La totale assenza di sangue nelle vittime, il tipo di morsi, ogni dettaglio coincide con la più mediocre investigazione sui comportamenti animali. Se solo ci fossimo informati un po’ di più... Le teorie millenariste sono naufragate miseramente, ma poco male. Archiviate quelle esoteriche, in attesa del prossimo cambio di calendario, gli amanti delle teorie hanno trovato di che alimentare la propria vivida fantasia abbracciando con convinzione quelle cospirative. Ergo, le bufale sul Covid 19 prospereranno almeno per tutto il decennio.

martedì 7 dicembre 2021

La perversa inclusione dello schwa

Una lingua deve assoggettarsi alle aspirazioni individuali o di categoria? Da quanto ne so, la lingua è un bene comune, appartiene a tutti e non è a disposizione di un singolo gruppo. La volontà di introdurre il simbolo ə (lo schwa, come si ostinano a chiamarlo i suoi sostenitori, lo scevà se vogliamo parlare italiano) risponde, secondo i suoi simpatizzanti, alla necessità di fare dell'italiano una lingua inclusiva. La ragione? Evitare il predominio del genere maschile. 

Questa forzatura pensata a tavolino (nell'italiano c'è tutto, basta sforzarsi a usarlo) ha poco da spartire con le esigenze della lingua. Parte dalla premessa di una sofferenza (quella vissuta da certe categorie di persone) per imporsi come modello politico. Ma la lingua viene decisa dai parlanti -tutti noi che generiamo l'italiano standard- e non da un gruppo di persone. L'operazione puzza. Intanto, lo scevà non è un grafema della lingua italiana (deriva dall'ebraico) e non corrisponde a un suono dal valore distintivo. 

Su MicroMega ci ricorda Cecilia Robustelli, che insegna Linguistica all'Univeristà di Modena: "la desinenza maschile e quella femminile ci dicono soltanto che il riferimento è a una persona di sesso maschile o femminile, e non danno alcuna indicazione sulla sua identità di genere". Allora, perché insistere su questo simbolo? A prendersela con l'italiano è stata qualche mese fa Michela Murgia, che di mestiere fa la scrittrice e che, di conseguenza, i suoi libri oltre a scriverli deve anche venderli. In occasione del suo ultimo lavoro è stata lei a dare visibilità allo schwa con un articolo sull'Espresso ricco di espressioni come nessunə, tuttə, convintə e così via. L'artificio è valso i complimenti del solito pubblico belante entusiasta delle novità inclusive, che purtroppo brilla spesso per superficialità. L'equivoco creato dalla Murgia sullo schwa è pretestuoso e merita la critica: genere e sesso, infatti, non sono la stessa cosa nemmeno in grammatica.

Le mode, però, piacciono. Pensate allo strapotere dell'inglese nel nostro parlato o a come ci piace vantarci di sentimenti probi. Sono le crociate del nostro tempo, che hanno nell'intellighenzia radical statunitense il modello a seguire. Anche in Europa si vuole imporre la modalità "woke" a ogni campo e a ogni costo e la lingua non viene certo risparmiata. Si dimostra come, invece di inclusione, si stia dando libero sfogo a una volontà settaria di distruggere i valori di un'intera civiltà. Si smantella la lingua per abbattere la società (prendete, per esempio, l'introduzione del pronome "iel" nel francese), si fraintende la storia a proposito rivoluzionando i nostri punti di riferimento. La lingua, in fondo, non è solo un mezzo di comunicazione, ma contiene i valori essenziali di una cultura. Sovvertendoli, si perde la propria identità.

Le città italiane, luna park del turismo

Il comune di Venezia ha annunciato che, a partire da aprile fino a luglio, in certe date stabilite –ventinove in tutto- sarà necessario paga...