Era l’autunno di cinquanta anni
fa quando il telegiornale diede la notizia che la domenica si sarebbe andati a
piedi. Macchine, motorini, autoarticolati sarebbero rimasti fermi. La ragione?
La crisi energetica. Spiegato un po’ meglio, i paesi arabi produttori di
petrolio decisero di ricorrere all’embargo verso l’Occidente come ritorsione su
quanto successo nella guerra del Kippur. Le operazioni militari si erano
esaurite il 25 ottobre 1973, ma gli italiani si trovarono sul groppone
l’ingombrante pacchetto di drastiche misure un mese e mezzo dopo.
Così, il 2 dicembre 1973 ci
dissero che dovevamo andare a piedi. Era la prima volta dalla fine della
Seconda guerra mondiale che succedeva una cosa simile, un provvedimento
sconosciuto alle entusiaste generazioni nate negli anni Cinquanta e Sessanta. E
non solo dovemmo andare a piedi, ma anche sopportare la chiusura anticipata di
bar, negozi e cinema; stare quasi al buio, visto che l’illuminazione delle
città venne ridotta del 40%; pagare di più la benzina e tutti i suoi derivati.
La pena? Multe salatissime che andavano dalle centomila lire al milione di
lire, oltre al sequestro immediato della vettura.
Venne subito coniato (meglio
detto, scopiazzato) un vocabolo per quel contesto, inglese ovviamente:
austerity. I britannici l’avevano usato per indicare le rigide misure innescate
nel secondo Dopoguerra per salvare la loro economia, noi lo adottammo per non
sentirci inferiori agli abitanti d’Albione e, soprattutto, per affermarci nel
contesto internazionale. L’austerity definì un cambio culturale. Al momento,
neanche ce ne accorgemmo, ma il divieto di circolare spinse milioni di italiani
a riappropriarsi della città. Si rispolverarono le biciclette soprattutto, ma
non solo: pattinatori, maratoneti, camminatori, podisti, semplici pedoni si
appropriarono di quegli spazi che erano stati intasati per anni dalle
automobili e avevano reso l’aria irrespirabile e i centri storici invivibili.
Quelle domeniche anticiparono il recupero del tessuto urbano che sarebbe
diventato processo inalienabile nel decennio successivo.
Al momento, non eravamo di
quell’avviso. Non avevamo il dono della chiaroveggenza e sentivamo che il governo,
con quel provvedimento, aveva tolto alcuni diritti sacrosanti all’italico bel
vivere: le gite fuori porta, i pranzi in trattoria all’aperto, i pic nic sui
prati e le partite di calcio improvvisate sui campetti di provincia divennero
attività interdette. Riversarsi in città
divenne quindi uno sfogo naturale, ma anche una specie di vendetta. Il pallone
invase le piazze e le piazzette, i bar si mutarono in trattorie e misero i loro
tavolini nel mezzo di viali e corsi, le famiglie stesero le tovaglie sulle
aiole dove consumare panini e insalate. In quel furore creativo anche il
presidente della Repubblica, l’ineffabile Giovanni Leone, trovò la maniera di
ergersi a primo degli italiani in quanto a fantasia, recuperando dalle rimesse
del Quirinale una carrozza a cavalli che usò per partecipare alla cerimonia
dell’Immacolata Concezione. Andò avanti fino all’aprile 1974, quando il
provvedimento venne sostituito da quello delle targhe alterne e quindi le
misure furono abrogate definitivamente nel giugno seguente. Le città, però, a
partire da quel momento non sarebbero state più le stesse.
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