
Nel luglio 1963 il Perù elegge
come presidente Fernando Belaúnde Terry, un architetto dalla traiettoria
democratica. È un’elezione mirata, che congela gli estremismi che l’anno
precedente avevano portato la sinistra al governo e quindi provocato il
conseguente colpo di stato militare. In piazza erano volate botte da orbi,
c’erano stati morti e l’elezione di Belaúnde aveva la chiara intenzione di calmare
le acque con un’amministrazione dichiaratamente centrista ed aperta agli
investimenti stranieri. Detto, fatto. Il Perù, a partire da quell’anno, si apre
al resto del mondo. Sarà per una breve stagione, che durerà fino al golpe di
Velasco, nell’ottobre 1968, sufficiente però perché una generazione di
adolescenti sogni, canti e balli con la musica di Beatles, Rolling Stones,
Elvis, Beach Boys. Con i loro dischi arrivano anche le chitarre elettriche e nel
1964 a Lince, quartiere popoloso della capitale, quattro ragazzi ci provano. Decidono
di chiamarsi Los Sádicos, i sadici, poi a qualcuno viene in mente di togliere
la d e rimane così Los Saicos. Una coincidenza, per assonanza fonetica in
lingua spagnola, con quella ¨Psycho¨ dei Sonics (1965), gruppo a cui i
peruviani sembrano essere legati da un filo invisibile attraverso il continente
americano. Perché i Saicos suonano come nessuno ha fatto fino ad allora. Loro sono
quattro: Rolando Carpio, il Chino (chitarra), César Castrillón (basso), Pancho
Guevara (batteria) ed Erwin Flores (voce e chitarra). Flores, in un paese abituato
ai bei fraseggi melodici della canción
criolla, rompe ogni schema. Non canta, infatti, ma urla, ed il suo
screaming viene incitato dal fratello Harry, che si improvvisa manager e riesce
a far esibire il gruppo al concerto annuale della Cadena de Comentaristas de
Discos del Perù. Ambiente da canzone romantica, bigottoni in platea, qualche
pezzo di gruppi popolari dell’epoca e poi i Saicos che suonano ¨Come On¨ (non
quella di Chuck Berry). È come passare un’unghia su una lavagna, ma dopo i
primi secondi di silenzio, la platea è in piedi ad applaudirli. Da quella
serata i Saicos ne escono due contratti: uno discografico ed uno televisivo.
¨Come On¨ diventa il primo di sei singoli –usciti tra il 1965 ed il 1966-, tra
cui ¨Demolición¨, che diventerà il loro hit: surf, proto punk, garage ed Erwin
Flores che anticipa Lux Interior di una buon decennio con un urlo –il tatatata
yaya in riverbero- che diventa il tormentone di quella stagione.
I giornali peruviani parlano di “vandalismo
sonoro”, ma intanto i Saicos riempiono i teatri e passano una volta alla
settimana in televisione, con il loro programma ¨La Hora de los Saicos¨. Dopo
¨Come On¨ il gruppo snocciola una serie di hit, tutti rigorosamente in spagnolo
e su 45 giri: ¨Cementerio¨, ¨Camisa de Fuerza¨, ¨Salvaje¨, ¨El entierro de los
gatos¨, ¨Fugitivo de Alcatraz¨, ¨Besando a otra¨. I dischi sono rigorosamente
senza copertina, venduti in busta plastica con una semplice fascia che riporta
il nome della casa discografica. Si trovano nei mercati popolari, il vero
emporio di Lima, dove si vendono assieme alla frutta e alle spezie. Los Saicos
suonano dal vivo a ritmo stakanovista, a volte perfino cinque volte al giorno
in cinque posti differenti, facendo il giro dei cinema e dei teatri della
capitale. Il successo sembra debba durare in eterno, ma come il clima politico
prossimo a cambiare, anche l’entusiasmo per i Saicos si raffredda e quando il
generale Velasco rovescia il governo democratico, restringendo le libertà
individuali, il gruppo si scioglie. I Saicos sono logori: bisticciano tra di
loro, non compongono più e non riescono a rispondere alle esigenze della
compagnia discografica che gli chiede materiale nuovo per un LP. Insomma,
mancano le idee. Erwin Flores, la voce demenziale, prova prima la carriera
solista in patria ed in Argentina (senza fortuna) e poi se ne va negli Stati
Uniti, dove si laurea in fisica e lavora prima alla Nasa e quindi in una
multinazionale farmaceutica. Castrillón lo segue a ruota. A Lima rimane solo il
batterista, Pancho Guevara. Storie normali per chi conosce la musica e la sua
quotidianità.

Passano gli anni e, alla fine dei
Novanta, qualcuno in Spagna si ricorda di loro ed assembla i 45 giri dei Saicos
in un cd, ¨Wild Teen Punk from Perù¨ per la Electro Harmonix. È l’inizio della
Saicomanía, un’onda inarrestabile che si propaga prima sulle fanzine, poi sui
siti internet ed arriva quindi sulle pagine dei giornali specializzati e dei
quotidiani. Riascoltando i pezzi, alcuni critici non hanno dubbi ad attribuire la
primigenia del punk al quartetto di Lince. Nessuno dei membri originali dei Saicos
è al corrente dell’operazione ed il primo a rendersene conto è Erwin Flores,
che trova il disco in un negozio. I giornalisti lo cercano e lui, fedele al
personaggio dell’urlatore di ¨Demolición¨ si comporta da vero punkster quando
gli chiedono la relazione tra Saicos e punk: ¨il punk è una musica di merda,
per gente che non sa una merda di musica¨ dichiara. Più punk di così, non si
può, altro che fisico della Nasa. Nel frattempo il Chino Carpio è morto, ma Flores
ritrova l’amico Castrillón -per caso vivono entrambi nella zona di Washington
DC- ed insieme prendono la palla al balzo e ricostituiscono il gruppo. Nel 2010
li rivogliono a Lima, nel quartiere Lince dove sono nati e cresciuti, a ridosso
dell’oceano Pacifico. Suonano in Perù dopo 45 anni dai loro esordi e per
l’occasione, proprio nel loro quartiere, viene scoperta una targa che ne
ricorda le gesta. Il Comune,
addirittura, gli dedica una via. La Saicomanía non si placa ed il film-maker
Héctor Chávez realizza il documentario ¨The World Should Know¨: il segreto
meglio conservato dei Sixties è infine rivelato al mondo intero. Il punk,
insomma, è nato in Perù.