lunedì 31 maggio 2021

Dante, l'impegno politico e l'esilio

Nelle note a margine della conferenza “Los caminos de Dante. Firenze y el exilio” del passato venerdì 28 maggio, tenutasi nel sito della Biblioteca Nacional de Costa Rica (è possibile rivederla su https://www.facebook.com/bibliotecanacional.mcj.cr) spiccano alcuni appunti che non è stato possibile elaborare per il tempo a disposizione. In particolare, come l’impegno politico costi a Dante l’esilio. Dante nasce, cresce, si fa uomo a Firenze, una città che gli calza come un’armatura: rampollo di una famiglia benestante, esponente di riguardo del dolce stil novo, autore di “La vita nuova” e voce rispettata al centro del dibattito sull’uso o no del volgare.

La politica, però, ieri come oggi è una brutta bestia. Dante ci si impegna e ci si impegola, facendosi coinvolgere nel partito dei guelfi bianchi, sviluppando una testarda e idealista campagna morale contro i mali del suo tempo. Appoggia l’autonomia comunale contro ogni tipo di ingerenza esterna e chiede a se stesso e agli altri una virtù che pochi conoscono: l’onestà. Firenze sta crescendo e appare a chi la visita un fenomeno urbano e sociale in piena espansione. Dante ne denuncia invece la fragilità interna, dovuta ai difetti dell’animo umano, che si lascia sopraffare dalla smania del potere. Punta il dito contro i potenti della sua epoca, addirittura contro il papa soldato Bonifacio VIII che, spada in mano, tuona per espandere il potere temporale della Chiesa. Ritenuto da Dante responsabile della corruzione ecclesiastica, Bonifacio è però avversario temibile. Cosa ci guadagna il poeta da questa sua campagna? Una condanna a morte, l’esilio vita natural durante, l’ignominia del suo nome sbeffeggiato come traditore, la vergogna e il sequestro dei beni. La sua vendetta ha un titolo ed è la “Divina Commedia” dove entrano tutti, ma proprio tutti, i suoi accusatori. Ed è così che il corpo letterario dell’opera, si trasforma in un trattato morale contro la degenerazione dei costumi, il malaffare, l’avidità provocata dal potere, il peccato in generale che va oltre l’accezione del termine nell’ambito di etica cristiana, ed è una macchia indelebile in chi non sa essere uomo tra gli uomini.

Profondamente religioso, Dante diventa così il primo vero intellettuale laico della storia occidentale. Dalla sua cattedra itinerante, ci dice che non dobbiamo abituarci alla deriva della società, ma che abbiamo l’obbligo morale di reagire. Ci insegna a non essere ignavi (ricordate i versi dedicati a papa Celestino? “vidi e conobbi l’ombra di colui che fece per viltade il gran rifiuto”), ma di prenderci le nostre responsabilità. Non c’è condanna a morte o esilio che tenga, o saremmo destinati per l’eternità a inseguire l’insegna bianca priva di significato, disdegnati sia dalla beatitudine che dagli inferi.

lunedì 24 maggio 2021

Quando i "negri" erano gli italiani


 

Circa due anni fa è apparso sul New York Times un interessante articolo dal titolo “How Italians Became ‘White’”, come gli italiani sono diventati bianchi, a firma di un giornalista afroamericano, Brent Staples. L’articolo ripercorre le tappe dell’immigrazione italiana, una popolazione vista con sospetto dagli americani, anzi dagli statunitensi. In particolare, i siciliani e gli italiani del sud in generale, venivano da regioni troppo vicine all’Africa per poter essere considerati europei a tutti gli effetti. L’idea venne alimentata dai politici e dai giornali, soprattutto delle grandi città della costa orientale, con risultati drammatici. Arrivati negli Stati Uniti come uomini liberi, i nostri conterranei furono costretti in termini di apartheid e obbligati ai lavori che, altrimenti, solamente i neri avrebbero potuto fare. Come in Louisiana, dove vennero mandati a svolgere le mansioni degli schiavi, ormai liberati, nelle piantagioni di cotone o di canna da zucchero. L’accettazione di quei lavori, che nessun buon americano avrebbe voluto fare, invece di elevarli nella piramide sociale, li accomunò alla feccia: banditi, criminali, addirittura pericolosi individui da accomodare agli ultimi posti della catena evolutiva.

Il terreno, preparato in particolare dal “The Times” di New York, raccoglie i suoi marci frutti nel massacro di New Orleans. Il 14 marzo 1891, a seguito della morte del capo della polizia della città, una retata porta in prigione diciannove immigrati italiani. Il processo non rivela nulla: non ci sono prove, si va verso l’assoluzione. La gente, però, aizzata a dovere –dal futuro governatore della Louisiana e dal futuro sindaco di New Orleans-, non ne vuole sapere, irrompe nel carcere e lincia e impicca undici imputati sotto lo sguardo  consenziente della polizia. È il peggiore linciaggio nella storia degli Stati Uniti. Quali negri, allora? Gli italiani erano peggio, al punto da essere soprannominati “white niggers”. Secondo il Tuskagee Institute, negli Stati Uniti a partire dal 1882, sono stati linciati 3446 afroamericani e, fenomeno poco conosciuto, 1297 bianchi, tra cui alcune decine di italiani, il cui peccato originale, probabilmente fu quello di non essere appunto “bianchi” abbastanza. A chi piace il cinema, i fatti di New Orleans sono anche stati raccontati in un film con Christopher Walken del 1999, “Vendetta”, che riprende un libro dello storico Richard Gambino.

La diffidenza verso gli italiani non venne sopita tanto facilmente. Sempre in Louisiana, a Tallulah, nel 1899, la folla lincia altri cinque siciliani, dei fruttivendoli accusati dell’omicidio del medico della località. Il fatto più eclatante, però, è il processo farsa con la successiva uccisione di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti (1927) avvenimento storico la cui matrice razziale, con l’aggravante anarchica, potè più della giustizia e della verità. Niente di strano, qundi, che il riconoscimento ad Antonio Meucci –che visse a New York dal 1850 e vi morì nel 1889- per aver inventato il telefono non sia mai arrivato: può un popolo “inferiore” eccellere nelle scienze?

Come e perché gli italiani sono riusciti a liberarsi del pregiudizio razziale? Grazie al Congresso, che alla fine degli anni ’20 del secolo passato, stabilì che gli italiani erano bianchi a tutti gli effetti. Staples menziona a questo punto l’effetto Colombo. A partire da allora, il navigatore genovese venne preso ad esempio come personaggio le cui qualità (il coraggio, la perseveranza, l’idealismo) passarono come per osmosi ai suoi connazionali. Bianchi e coraggiosi: ecco quindi completata la riabilitazione dei maltrattati italiani.

lunedì 17 maggio 2021

Da Manzoni a oggi, il virus e la negazione della realtà

Il virus e la negazione, oggi come quattro secoli fa. Scomodiamo Manzoni e vediamo come, nei tre capitoli che lo scrittore dedica alla peste ne “I Promessi sposi” il comportamento che le autorità e la popolazione rivolsero alla propagazione del contagio fu simile a quanto ci è toccato vivere in prima persona con il Covid 19. Corsi e ricorsi dell’animo umano? Vediamo. Nel capitolo principale, che narra la diffusione del morbo, il XXXI, Manzoni narra di come il medico Lodovico Settala, “protofisico” di lunga e verificata esperienza, dette l’allarme del ceppo che si era sviluppato nei dintorni di Lecco. Le autorità, ricevuta la notizia, inviano dei delegati nella zona, delegati ai quali si offre uno spettacolo di morte: “paesi chiusi da cancelli all’entrature, altri quasi deserti... numero de’ morti spaventevole”. Milano, come misura precauzionale, decide di proibire l’ingresso in città agli abitanti delle zone colpite, ma è solo dopo due settimane, che il governatore chiama a riferire i delegati. Ascoltate le notizie, il governatore dimostra dispiacere ma, in fin dei conti, ritiene “i pensieri della guerra esser più pressati” e due giorni dopo ordina pubbliche feste per la nascita del principe Carlo, primogenito di Filippo IV: “come se non gli fosse parlato di nulla”. Dall’allarme sanitario è passato più di un mese.

La negazione, la Verneinung come affermava Freud, è un meccanismo di difesa, ma probabilmente nulla ne sapevano di psicologia dell’animo umano gli abitanti del Milanese, che accolgono le drammatiche notizie più o meno con la stessa disgraziata flemma del loro governatore spagnolo. “Ciò che fa nascere un’altra e più forte maraviglia” scrive Manzoni “è la condotta della popolazione medesima, di quella voglio dire, che, non tocca ancora dal contagio, aveva tanta ragione di temerlo... chi non crederebbe che vi si suscitasse un movimento generale, un desiderio di precauzione bene o male intese, almeno una sterile inquietudine? Eppure, se in qualche cosa le memorie di quel tempo vanno d’accordo, è nell’attestare che non ne fu nulla”. Tutto questo mentre il Tribunale della sanità “chiedeva, implorava cooperazione, ma otteneva poco o niente”.

Il popolino si fa beffe di chi avvisava del pericolo. Ha cose più importanti a cui pensare e, mentre le autorità vanno a caccia dell’untore (il paziente zero l’abbiamo chiamato oggi), quando i primi sporadici casi della peste vengono registrati a Milano, cerca e trova il medico Lodovico Settala, l’unico esperto in grado di fare qualcosa per la comunità, per rinfacciargli di essere lui “il capo di coloro che volevano per forza ci fosse la peste; lui che metteva in ispavento la città”. Chi denuncia i casi di peste diventa un nemico della patria: è però proprio il negazionismo a provocare la diffusione della peste.

Il completamento del corollario avviene quando, ormai consolidato il fatto che Milano è colpita dalla peste (epidemia che farà più di un milione di morti nell’Italia centro-settentrionale) si continua a negare la realtà. La peste non è un fatto naturale, ma il risultato di chissà quale stregoneria sparsa nel paese da agenti stranieri. Manzoni, alla fine del XXXI capitolo, si lascia andare a un proprio giudizio morale sulla condizione umana (“anche noi, dico noi uomini in generale, siamo un po’ da compatire”): quando è sgradevole, rifuggiamo la realtà.

Le similitudini tra le due epoche si sprecano. Allora, era l’autunno 1630. Nella tragica stagione 2020-21, quasi quattro secoli dopo, poco o nulla è cambiato nell’agire delle autorità e nel giudizio scellerato della gente comune.

Le città italiane, luna park del turismo

Il comune di Venezia ha annunciato che, a partire da aprile fino a luglio, in certe date stabilite –ventinove in tutto- sarà necessario paga...