martedì 9 gennaio 2024

Marco Polo e l'invenzione del viaggio

Le celebrazioni per l’anniversario della morte di Marco Polo (settecento anni l’8, ma più probabilmente il 9 gennaio 1324) procedono a rilento. Eppure, il veneziano certa rilevanza ce l’ha, non solo per aver acceso la curiosità sul mondo sconosciuto in un’epoca in cui l’Europa era accartocciata su se stessa. Baghdad, Samarcanda o Pechino di cui snocciola descrizioni e aneddoti rappresentano la parte fisica della sua impresa, però il pregio è un altro: Polo ha dimostrato con la sua traversia, qual è l’essenza del viaggio. È stato il primo, in un Occidente imbevuto di crociate, feudalesimo, oscurantismo religioso, a guardare oltre e a osservare distaccato, ma meravigliato, l’Oriente che gli si apriva davanti. Dalle pagine di “Il Milione”, Polo trasmette al lettore questa essenza, che è fonte di esperienza personale, di dinamiche sociali e culturali, ma soprattutto è divenire dell’essere umano. Una concezione completamente nuova nella retorica medievale, quando la letteratura era imbevuta dei canoni del poema cavalleresco e della lirica cortigiana o religiosa. Il suo Le divisament dou monde”, diventato poi “Il Milione”, redatto quando il XIII secolo è ormai agli sgoccioli, è a tutti gli effetti il primo libro di viaggi del mondo occidentale. Il fascino per l’ignoto, per una terra sconosciuta, la semplice curiosità fanno la fortuna del libro, ma è l’attendibilità di Polo, cronista affidabile, in quanto saggio e nobile cittadino di Venezia, a creare i presupposti per l’inarrestabile divulgazione delle sue memorie.

C’è un fatto predominante. Polo va oltre il ruolo di mercante acquisito per ereditarietà e si inventa reporter e cronista, testimone e viaggiatore. È obiettivo, al punto che va oltre gli interessi mercantili in onore alla realtà. Una pista che spiega questo atteggiamento può essere quella che Polo, al momento di mettersi in viaggio, è un giovane di soli diciassette anni, che conosce “ogni calle, ogni portego e sestiere di Venezia” e che ora vuole scoprire il mondo. In quel viaggio straordinario mette tutto l’entusiasmo che un ragazzo può provare in quelle condizioni. Lo zio e il padre percorrono la Via della seta per concludere affari e comprare gioielli e tessuti. Sono commercianti navigati, d’esperienza, sono già transitati per quella rotta in un viaggio anteriore e il loro interesse è mercantile. Marco, no. Segue il suo istinto e lo ripropone incontaminato quando è ormai un uomo di quarantaquattro anni, mentre detta i momenti salienti della sua esperienza asiatica a Rustichello da Pisa. E gli unici cedimenti del volume si devono proprio allo scrittore toscano, che a ogni costo volle introdurre episodi cavallereschi e moraleggianti. Per il resto, “Il Milione” è prodigo di informazioni geografiche, sociali, politiche, storiche; elargisce anche consigli a chi vuole andare per il mondo a esplorare: “Chi viaggia deve imparare a dormire per terra, a sopportare la fame e la sete”.

Grazie a questi presupposti, “Il Milione” diventa uno dei vertici del triangolo della nascente letteratura volgare e ci mostra un Medioevo ben più animato di quanto si immagini. La necessità di evadere dalla realtà, così cara alle nostre generazioni, era già patente in epoca tanto lontana e veniva esposta non solo da Polo, cultore del viaggio materiale, ma anche da altri due classici dell’epoca: “Il cantico delle creature” di San Francesco, che guida il lettore in un viaggio interiore e la “Divina Commedia”, di Dante, che lo trasporta nell’allegoria del viaggio fantastico.

Con il tempo, gli europei perderanno ogni contatto con le vie di Marco Polo. Balkh, il Pamir, Kashgar, Kotan, la particolarità esotica delle strade d’oriente verranno riscoperte solo nel XIX secolo nella storia moderna dell’Occidente. L’essenza che anima il viaggiatore, già manifestata da Polo e poi sopita per secoli, diverrà ansia e traguardo dell’uomo contemporaneo.

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