sabato 25 novembre 2023

Le enciclopedie a fascicoli, il Google di un tempo

Quando non c’era Google, c’erano le enciclopedie. Ingombranti, solenni, forgiate a monoblocchi. Non c’era appartamento dove si entrasse che nella libreria, spesso modesta e con titoli a volte improbabili, non facessero bella mostra i volumi di un’enciclopedia.  

Era uno degli aspetti del miracolo economico. C’era ansia di imparare, di non farsi trovare impreparati. La cultura aveva un peso in tutti i sensi, peso morale e peso fisico. Le enciclopedie si acquistavano a rate, oppure in fascicoli in edicola. I loro nomi li ricordo ancora: “Conoscere”, “L’enciclopedia della donna”, “Vedere e sapere”, “Universo”, “L’enciclopedia Utet”, “Il Milione”. Stavano lì, a fare bella mostra di sè, raccolte pazientemente settimana dopo settimana e poi portate a rilegare dalla ieratica figura, ormai scomparsa, del rilegatore. Questo sì: bisognava avere costanza e tenacia, perché per completare un’opera bisognava attendere anni. Era il prezzo da pagare per ostentare la cultura, traguardo ambito da chi fruiva i traguardi del boom economico. “In comode cento uscite settimanali” recitavano le pubblicità (le réclame, come si diceva al tempo), periodo di tempo oggi inimmaginabile in quest’epoca dove si consuma tutto all’istante. “Il Milione”, enciclopedia geografica edita dalla De Agostini, constava di 312 fascicoli, equivalenti a sei anni di appuntamenti settimanali in edicola, diecimila pagine suddivise in quindici volumi. E di quei tempi sorprendono i numeri: la media era di centomila fascicoli venduti a settimana per ogni singola edizione. “Conoscere”, edita dalla Fratelli Fabbri Editori, tra le prime pubblicazioni ad essere presentate (apparve nel 1958), vendette seicento milioni di dispense.

L’enciclopedia non era solo territorio per gli adulti. Per i bambini ebbe infatti un grande successo “I Quindici” che apparve per la prima volta nel 1964 e la cui pubblicazione durò almeno fino alla fine del decennio successivo. Si trattava, appunto, di quindici volumi tematici: veniva venduta porta a porta da agguerriti rappresentanti e poi, firmato il contratto, si pagava a rate. “I Quindici” erano un’elementare digressione su vari argomenti (la natura, gli animali, l’arte) che apriva ai bambini il mondo post bellico che sarebbe stato dominato dalla tecnica e dalla scienza.

Il piazzista vendeva sapere, ma soprattutto vendeva progresso. La presenza di un’enciclopedia in casa aveva lo stesso valore della macchina sotto casa e della lavatrice nel bagno. Erano tutti simboli dell’affrancamento dalle ataviche condizioni di sottosviluppo e povertà del nostro contadinato emigrato in città. Poco importava che venissero consultate in rare occasioni; bastava la loro presenza a sancire l’avvenuta trasmutazione. Il venditore non veniva perció considerato un rompiscatole, ma piuttosto l’intermediario verso un universo di sapere.

Con il tempo e le innovazioni tecnologiche, le enciclopedie sono state traslocate alle seconde case o fatte scomparire nelle cantine. Qualche esemplare resiste come un avanzo d’altra epoca, cibo per collezionisti. E ogni volta a sfogliarne una copia, sembra di entrare in uno di quei salotti delle case popolari che odoravano a minestra e a cera per pavimenti, con la 600 sotto casa e la Zoppas in bagno.

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