martedì 16 agosto 2022

Come avvicinarsi al romanzo noir latinoamericano

Sabato 3 settembre 2022, alle ore 10 Costa Rica (ore 18 in Italia) si terrà la webinar “I colori del giallo” con gli scrittori Erica Arosio, Flavio Villani e il sottoscritto. Organizza la Dante Alighieri di San José e la partecipazione è libera, come attività ai margini della XXI edizione della Feria Internacional del Libro en Costa Rica. Avvicinandoci a quella data, ne approfitto per parlare un po’ di romanzo noir in vari contesti. Cominciamo con una pennellata generale sull’America Latina.

 

Nel momento di maggior interesse in Italia per il romanzo noir, rimane ai margini il giallo latinoamericano, complice probabilmente la vasta varietà proposta dall’offerta nazionale. Il nostro noir di matrice mediterranea ha fatto molteplici proseliti, si è moltiplicato lasciando le piacenti sponde per internarsi perfino nel regionalismo. Il noir italiano è comodo e sicuro: trasuda melanconia, offre scene domestiche che ci sono familiari, c’è il mare (o la nebbia, a seconda del luogo) e ci sono quei cari momenti di pausa in cui perfino il crimine più efferato viene messo da parte perché si va a tavola. Leggere i nostri autori nazionali vuol dire riconoscersi, ribadendo l’italianità con i pro e contro della nostra indole.

Andare all’estero ci obbliga a uno sforzo.  Dobbiamo addentrarci in un universo sconosciuto di cui abbiamo pochi e incerti riferimenti; ancora di più quindi se si tratta di America Latina. Eppure, vale la pena di soffermarsi sul romanzo noir latinoamericano. Nelle sue pagine troviamo l’urgenza, il dramma, la politica, l’abuso di potere e la situazione sociale, elementi che scardinano l’auto compiacimento su cui sono settati gli eroi statunitensi e del Vecchio continente. Cuba, Argentina, Cile, Messico, Perù. Il romanzo noir esplora le trame oscure non solo dei personaggi, ma di un’intera nazione: “come si può scrivere un giallo in un paese dove il crimine è fondamentalmente un crimine di Stato?” si chiedeva Paco Ignacio Taibo II. La risposta è conseguente: implicando il potere, smascherandone le sue trame. Il romanzo noir, la novela negra, in America Latina è prima di tutto denuncia. È narrare e descrivere nel profondo la realtà. Dalle dittature e dai conflitti armati del secolo passato non sono nate delle democrazie virtuose, ma sistemi di governo che, da destra a sinistra passando da un centro cinico e indifferente, non risolvono le istanze della gente comune. I personaggi offrono una visione drammatica della storia contemporanea, non si esauriscono all’interno di un cliché. Il detective, o la persona che si trova a investigare –che a volte è pure complice- denuncia non solo il crimine, ma tutto un sistema, rivelando quello che il potere si affanna a voler nascondere. È la realtà attuale, quella che si vive nel quotidiano, a esprimersi. Facciamo i nomi: è il 1994 quando Luís Sepúlveda pubblica “Nombre de torero” (“Un nome da torero”), romanzo che da solo potrebbe definire il genere. Prima di lui, però, già Rolo Díez, argentino con alcuni titoli su Tropea Editore e il cileno Ramón Díaz Eterovich, ideatore della serie del commissario Heredia (ma in Italia poco pubblicato), avevano tracciato la specificità del genere. Qui, la narrativa è alla pari del reportage, il gioco è per duri. Chi scrive si espone in prima persona per smascherare il terrorismo di Stato e i giochi di potere facendo della letteratura gialla il terreno di scontro (e ricordiamo che alcuni autori, in tempo di regime, si erano trovati dall’altra parte della barricata armi in mano, come lo stesso Díez o Raúl Argemí -in Italia edito da La Nuova Frontiera-). Paese che vai, scheletri che trovi, come nel Perù di Santiago Roncagliolo, dove la novela negra si fonde con gli accadimenti storici di un paese devastato da Sendero Luminoso e dalle dittature (lo trovate su Keller e Garzanti).


Le distinzioni regionali sono obbligatorie in un contesto ampio come quello latinoamericano. Abbiamo parlato di alcuni tratti comuni, ma non si può generalizzare. Il noir tropicalizzato di Leonardo Padura (edito da Bompiani) ha il respiro della vereda. Cuba è quello che è, uno trae le proprie conclusioni e Padura a Cuba ci vive e non ha intenzione di andarsene: “questo è il mio territorio, è il mio posto e ho deciso di restarci nonostante le difficoltà e i rimproveri che ho ricevuto”. Provare per credere, ossia leggere le peripezie di Mario Conde, il suo personaggio che è habanero nel profondo dell’anima.

L’ultima raccomandazione: non si commetta l’errore di credere che il romanzo noir di queste latitudini, dopo quello che abbiamo scritto, sia un genere politico. Vale anche in questo caso l’assioma dettato da Vázquez Montalbán: “se un libro è ben scritto, non appartiene a un genere, è buona letteratura e basta”. E se si vogliono cercare le origini del noir latino per dare fondamento a questa affermazione, date un’occhiata a “El complot mongol” (“Il complotto mongolo” rispolverato da La Linea nel 2011), di Rafael Bernal, il diplomatico messicano con il vizio del giallo e a Rubem Fonseca.

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