martedì 12 marzo 2024

Le città italiane, luna park del turismo

Il comune di Venezia ha annunciato che, a partire da aprile fino a luglio, in certe date stabilite –ventinove in tutto- sarà necessario pagare il biglietto d’ingresso in città. 5 euro per passeggiare tra le calli, vedere piazza San Marco, scattare la classica foto con lo sfondo del ponte dei Sospiri, farsi vendere cianfrusaglie dai cinesi. Sarà un esperimento, dicono con ipocrisia appena velata, perché l’esperimento diventerà presto una realtà, un dato di fatto che traccerà il destino delle altre città d’arte nel futuro prossimo. La causa di tale provvedimento? Arginare il turismo di massa, che sta strozzando la laguna. Non si investe più per l’accoglienza, quindi, ma per ridurre le possibilità di accesso. Un po’ un controsenso, parlando di turismo. Invece di trovare soluzioni, ci si limita a fare cassa, alimentando la deriva delle politiche sul territorio. Il malessere di Venezia viene da lontano, tra sciatteria organizzativa e maleducazione dei visitatori, chi ne ha più ne metta. Ora, questa soluzione legittima il passaggio a un turismo che diventa simbolo di status sociale: non esperienza e conoscenza per i più, ma attività di intrattenimento di chi può. 

Che le città italiane stiano male, ce ne siamo accorti tutti. Segnale inequivocabile è l’abbandono dei centri storici, fenomeno iniziato dapprima dai negozianti che non sono legati al settore turismo seguiti dalla fuga dagli stessi abitanti. Airbnb ha creato un deserto, i venditori di souvenir e i ristoratori hanno completato l’opera. I centri storici di Venezia, Firenze, Verona e così via, sono diventati delle Disneyland dove persino l’arte è diventata mercimonio. Ogni angolo delle nostre città è stato svilito al rango di un’attrazione da luna park con tanto di tagliandino con il prezzo. Le opere d’arte più hanno valore e più costa vederle. Gli euro offrono la gioia di un momento a persone che non sanno niente di ciò che stanno vedendo, turisti ai quali non viene spiegato assolutamente nulla della nostra Storia e del vissuto che c’è dietro un quadro, un monumento, una chiesa. Proprio come si fa in un parco divertimenti, il non-luogo per eccellenza, l’esatto contrario di ciò che dovrebbe ispirare il nostro patrimonio.

A dare una mano ci hanno pensato anche le campagne pubblicitarie lanciate dal governo di turno, che continuano a vendere l’idea colorata e stuccosa di un’Italia da dolce vita, priva di contenuti e di sostanza. “VeryBello” e “Open to Meraviglia” (quest’ultima con la pacchiana Venere di Botticelli trasformata in influencer) sono state campagne da obbrobrio che hanno accentuato l’idea dell’Italia da cartolina, effimera e frivola. Ogni città è uguale all’altra, Posillipo è lo stesso di Manarola, un museo vale l’altro, lo spritz ad Amalfi ha lo stesso sapore di quello bevuto a Orta: la percezione, è quella di un mondo fittizio, irreale, costruito apposta per apparire sullo schermo patinato di Instagram. L’esperienza dura giusto il tempo di uno scatto fotografico, poi via verso una nuova meta.

È sostenibile il turismo? Senza ombra di dubbio, ma rivalutando il territorio, intervenendo sul patrimonio senza svenderlo, investendo sull’unicità delle risorse, evitando che ogni iniziativa sia promossa con il solo scopo di riempire il portafogli. È sostenibile il turismo che consente agli abitanti di continuare a vivere nelle loro città e di svolgere le loro attività. Un turismo che parte dall’educazione e dal rispetto, sia dei turisti che da parte delle amministrazioni pubbliche.

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