lunedì 26 maggio 2025

Quella voglia di Grand Tour

 L’Italia ha avuto un volto, e con quel volto, con quei lineamenti inconfondibili affascinava, splendida e casuale, l’Europa el il mondo”. Così scriveva Giorgio Manganelli ricordando i tempi in cui la nostra penisola si apriva ai primi viaggiatori, studiosi e letterati spinti dal desiderio di conoscere in prima persona le vestigia dell’antichità classica lasciate da Greci, Etruschi, Romani.

Il vero e proprio interesse per l’Italia nacque con il “Viaggio in Italia” che Goethe pubblicò nel 1816 come diario dell’itinerario che aveva realizzato nella penisola nel 1786. Goethe, entusiasta dell’Italia, non fece altro che rendere pubblica quella che era diventata un’attività comune tra i pupilli delle famiglie altolocate del Nord Europa -sia nobili che borghesi- e che aveva avuto origine già alla fine del XVII secolo quando Richard Lassels aveva pubblicato “Voyage in Italy”. Era il 1670 e quel sacerdote inglese con l’hobby dell’avventura aveva al tempo compiuto cinque viaggi in Italia. Forte della sua esperienza aveva coniato il termine Grand Tour, come espressione di viaggio culturale e formativo e, senza saperlo, aveva posto la base semantica per due nuove parole: turista e turismo.

Nel XVIII secolo il Grand Tour è prerogativa dei rampolli delle famiglie nobili, che affrontano il viaggio con lo scopo di arricchire il proprio bagaglio culturale. Dopo la parentesi napoleonica e l’Europa ridotta a un campo di battaglia, i fautori della rivoluzione industriale elevano il Grand Tour a formula di rito, espressione massima del benessere raggiunto dai nuovi ricchi. L’influenza ancora viva dell’Illuminismo pervade le menti. Si sente impellente il bisogno del sapere, la necessità di realizzare esperienze in prima persona che portino i giovani a toccare con mano il passato e, dove si può, l’antichità classica. L’Italia offre queste prerogative ed è a portata di mano. I laghi del settentrione, la Liguria, Venezia, Firenze e Roma diventano mete imprenscindibili e chi ha tempo, denaro e coraggio si spinge anche a Napoli e in Sicilia. Gli spostamenti sono travagliati e i resoconti ci aiutano a immaginarci l’Italia dell’epoca. Le strade sono impervie e spesso le carrozze devono lasciar posto a cavalli e muli; le stazioni di posta sono prive di ogni comodità; certe zone sono battute dai banditi. Goethe, inoltre, ci aggiunge la sporcizia. Venezia, Napoli, Palermo non brillano per l’ordine. Parlando di Venezia, il letterato tedesco scrive: “sono rimasto colpito dalla grande sporcizia delle strade” situazione che ritrova a Palermo, dove il sudiciume serve addirittura a fare da strato per ricoprire il manto stradale.

Ciononostante, non c’è ostacolo che tenga. Guidati dagli schizzi di Piranesi e di altri paesaggisti, i viaggiatori hanno l’obiettivo di arrivare almeno a Roma per vedere il Colosseo con i propri occhi. I più temerari raggiungono le coste, da quella ligure a quella sorrentina che, con l’avvento del Romanticismo, diventano simboli destinati a perdurare nell’immaginario della gioventù dell’epoca. Il Grand Tour però non era solo tuffarsi nell’antichità. L’Italia del tempo, infatti, ha molto da offrire: il neoclassicismo, l’architettura palladiana, la commedia dell’arte, l’opera lirica vengono apprezzati, assimilati ed esportati. La concezione didattica del viaggio impone di partecipare ai salotti letterari, di creare bozzetti di viaggio, di accaparrarsi antichità che, vere o false, vengono proposte da sedicenti venditori. La lista dei personaggi famosi è lunga. Mary Shelley, George Byron, Stendhal, John Ruskin, Georges Bizet, John Keats, Charles Dickens, George Eliot, Louise May Alcott sono solo alcuni degli illustri ospiti. Il loro Grand Tour è l’embrione del turismo moderno, ma ancora pervaso da un ingenuo alone di romanticismo. George Byron regala all’Italia uno dei suoi versi più famosi (“Oh Italia, tu che hai il fatal dono della bellezza”), mentre Mary Shelley, la mamma di Frankenstein, più pragmatica annota: “L’Italia è un luogo affascinante, ricco di storia e di arte, ma anche di tristezza e di dolore”. Poche cose sono cambiate da allora nel nostro animo.

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