sabato 9 luglio 2022

Italo Calvino e la letteratura latinoamericana

A Italo Calvino non piacevano gli scrittori latinoamericani. Così, nella sua attività di recensore presso Einaudi bocciò decine di lavori proprio mentre le altre case editrici, attingevano a piene mani dal calderone del realismo magico e delle specifiche realtà regionali.

Siamo a cavallo tra gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso e la letteratura latinoamericana è l’ultima frontiera, una sorta di eldorado da cui trarre ossigeno in un ambiente sempre alla ricerca di novità. Il subcontinente soffre di mali endemici e proprio da questa sofferenza nascono voci irripetibili che denunciano protesta, desolazione, povertà, lotta ma dipingono anche mondi fantastici sospesi tra cielo e terra. Feltrinelli “scopre” e pubblica García Márquez, Borges, Onetti, Puig, Manuel Scorza e Alfredo Bryce, oltre al “Diario del Che”. Perfino la moderata Mondadori inserisce nella collana “Medusa” il peruviano Ciro Alegría e Miguel Ángel Asturias. Calvino, invece sulla sponda Einaudi, rimane freddino nei confronti della moda del momento. Lo spiega lui stesso in un’intervista del 1984: “da principio diffidavo degli scrittori e dei poeti latinoamericani perché mi parevano dei personaggi ufficiali. Ora se c’è una cosa che io stesso detesto è il tipo di scrittore che diventa un personaggio ufficiale. E se qualcosa avrei voluto fare nel campo della letteratura con le mie modeste forze, è cancellare dalla mappa del mondo questo tipo di scrittura verso il quale sento dell’odio... mi ero fatto l’idea che gli scrittori latinoamericani fossero tutti così e quindi detestabili”. Una dichiarazione che dimostra l’onestà intellettuale, ma anche il limite politico dello scrittore. Sono gli anni dove la sinistra impone una certa egemonia nel mondo delle lettere e modella la visione della cultura. La cultura deve avere un volto piuttosto che un altro, confessa. Agli scrittori latinoamericani (Calvino ne conosce personalmente molti) manca in certi casi l’originalità e in altri l’universalità. Di conseguenza, non entrano nel suo progetto. Non è facile. L’America Latina fino agli anni Sessanta è prigioniera di uno standard denigrativo, per cui viene ritenuta come una regione incapace di creare cultura valida. Può andar bene per il mambo, ma approfondire, beh è un’altra cosa. Il subcontinente è un luogo pittoresco, ma inadatto a proporre quell’universalità che Calvino propugnava per la sua idea di letteratura. In questo senso, non aveva tutti i torti. Mentre lui si arrovella sulla questione di come risolvere la regionalità (le Ande, l’area rioplatense, il grande Messico, le Antille: non si può generalizzare), gli editori italiani si buttano senza ritegno in quella che, a partire dalla  pubblicazione di “Cien años de soledad” e dalla morte di Che Guevara, diventa la gallina dalle uova d’oro. Il passaggio dal disinteresse più completo all’amore sfrenato avviene in un batter d’occhio. La voracità che segue divora tutto e consegna al lettore la mitizzazione dell’America Latina vista come una sola entità, un luogo incredibile dove tutto succede e tutto è possibile, che accomuna l’etnoletteratura di Arguedas al mondo onirico di Puig; la pentalogia di Scorza alla poesia di Octavio Paz. Il lettore italiano confonde l’America Latina con l’esotica terra delle rivoluzioni e del realismo magico e, giocoforza, qualsiasi scrittore viene accomunato a questi processi. La confusione è completa.

Calvino, intanto, con la sua ostruzione rimane al margine. Preferisce la qualità alla quantità e manterrà questa posizione senza mai farsi influenzare. Tra i latinoamericani salva Julio Cortázar, per cui fece la prefazione di “Storie di cronopios e famas” giudicandole “la creazione più felice e assoluta” dello scrittore argentino, e José María Arguedas. Il peruviano autore di “I fiumi profondi” (Los ríos profundos, 1958), un’opera oggi tanto dimenticata quanto eccezionale, si avvale della prefazione di Mario Vargas Llosa, un altro dei pochi autori che passano l’esame della casa Einaudi. Le successive vicende editoriali dimostreranno come, in Italia, la complessità della letteratura latinoamericana, sia un caso ancora da risolvere.


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