giovedì 21 aprile 2022

Per rilanciare il pacifismo di Carlo Cassola

Scrittore e pacifista, Cassola ha segnato attraverso la sua letteratura buona parte del Novecento italiano. L’autore di “La ragazza di Bube”, narratore di microcosmi e di storie personali, di passioni individuali e luoghi dell’anima, fu uno dei pochi, in epoca di ideologie settarie e di poca apertura, a oltrepassare gli schieramenti e a prendere una ferma posizione sulla pace e il disarmo.

Cassola dovette subire anche accuse impietose, come quelle mossegli da Italo Calvino in un famoso articolo apparso su “Il Giorno” nell’ottobre del 1970. Nella sua analisi, Calvino riduceva Cassola a uno scrittore di “romanzi sbiaditi” con pochi e rarefatti elementi narrativi e con un intimismo esagerato spesso comprensibile solo all’autore. Contro la sua letteratura si schierarono in tanti: Pasolini, Sanguineti, Bassani, Ginzburg lo tacciavano di romanziere d’evasione. Il problema, però, era un altro. Cassola non era uno scrittore impegnato. In un’epoca in cui gli intellettuali ex partigiani continuavano la loro lotta sulla carta stampata, le storie interiori di Cassola apparivano prive di significati tangibili.

È a questo punto che lui, combattente partigiano nel Volterrano, narratore delle “cose ai margini”, inforca decisamente la strada del pacifismo. La sua scelta parte da una personale profonda revisione della propria produzione e dalle critiche ricevute. A chi lo biasimava di non scrivere romanzi impegnati (dove, per impegno, si indicava una precisa posizione politica e sociale), Cassola risponde prendendo una propria e innovativa posizione, nel panorama culturale italiano, e a metà degli anni Settanta prende la strada dell’antimilitarismo. “ll problema dei problemi è quello di un nuovo assetto politico mondiale” afferma in un’intervista alla Radio Televisione Svizzera del maggio 1976 “dove il mondo è minacciato dall’annientamento”.

Il vero impegno, per Cassola, è questo. Chiede alla cultura e al giornalismo di fare sentire una voce ferma che ripudi la guerra. In caso contrario si assisterà alla “sconfitta dell’umanità che, accecata, commette un suicidio di massa. L’umanità che lascia il potere in mano agli imbecilli”. Il rischio di un terzo conflitto mondiale è latente, la crisi di Cuba del 1962 l’ha dimostrato, eppure la risposta del mondo intellettuale all’appello di Cassola è tiepido.

Il cambio di direzione di Cassola corrisponde con la fine della sua relazione con la casa editrice Einaudi. Una relazione lunga ma tormentata con un comitato editoriale che non sempre l’ha difeso e che anzi, spesso, ha fomentato proprio le critiche al suo lavoro. Approdato da Rizzoli, Cassola porta la sua rivoluzione pacifista nelle scuole, in accorati interventi nelle università durante uno dei periodi più caldi della nostra storia recente, gli anni del terrorismo. Le scuole sono un calderone, dove si è infiltrato il pensiero della lotta armata e dove non è facile far passare il pensiero pacifista.

Ogni stato sovrano armato è garanzia che la terza guerra mondiale verrà e distruggerà il mondo” dichiara. I governi democratici non rappresentano nessuna garanzia di pace. Alla pari di quelli dittatoriali e guerrafondai si armano per scatenare in qualsiasi momento un conflitto di proporzioni devastanti. Convinto che l’Italia possa rinunciare alle armi convoca nel 1979 il primo congresso della Lega per il disarmo unilaterale. Volevate un impegno? Eccolo qui, saldo e reale. La pace è uno schieramento che non ha bisogno di ideologie o di bandiere di partito, è trasversale e univoco. Le ambiguità, quelle sì, sono della politica.

lunedì 11 aprile 2022

Per una cultura di pace: l'esempio del Costa Rica

Il primo dicembre 1948 dovrebbe essere una data da ricordare su tutti i libri di storia. Una data da commemorare e da celebrare, ma che rimane sconosciuta ai più perché anomala in un contesto globale dove la guerra è di casa. È questa, infatti, la data in cui il Costa Rica rese effettiva la sua rinuncia all’esercito, diventando il primo paese demilitarizzato al mondo. L’articolo 12 della Costituzione proibisce l’esercito: Se proscribe el Ejército como institución permanente. Para la vigilancia y conservación del orden público, habrá las fuerzas de policía necesarias… Poche parole che, però, sono tra le più rivoluzionarie che siano state scritte lo scorso secolo: niente esercito, un’altra via è possibile.

Nel 1955, l’unico strappo alla regola: un’invasione dal Nicaragua da parte di forze ostili al governo con l’appoggio della dittatura somozista. I ticos se la cavarono da soli, organizzando la difesa e liberando quindi le città occupate dagli invasori, ricacciandoli oltre confine. Un ulteriore passo verso la smilitarizzazione è venuto nel 1984, con la Legge di Neutralità Perpetua. Proprio nel momento più cruento delle guerre centroamericane, il Costa Rica promulgava la neutralità, ribadendo la sua tradizione anti-militarista. Nel 1990 tocca a Panama sopprimere l’esercito. Da allora, la frontiera Costa Rica e Panama è l’unica frontiera demilitarizzata del mondo.

Non voglio un esercito di soldati, ma un esercito di maestri”: le parole di José Figueres Ferrer, il presidente che proibì l’esercito, risuonano come un monito oggi per chi continua a perseguire fini di distruzione camuffati da slogan pacifisti. L’armamento toglie soldi all’educazione, alla sanità, alla cultura, all’ambiente, alla società in generale, rendendoci più poveri e ammaestrandoci al nazionalismo e alla cultura di odio. L’Europa di oggi si è disamorata della cultura di pace e si trova in ostaggio della peggiore generazione che la politica possa aver prodotto. La parola pace è da lungo tempo travisata sui mezzi d’informazione, con lo scopo di abituarci al suo erroneo uso (pensiamo, per esempio, al termine “missione di pace”), le guerre vengono preparate con largo anticipo, i popoli sono povere pedine calpestate da interessi di pochi padroni.

L’assenza di un esercito ha molti nemici. Non conviene a nessuno. Il Costa Rica viene periodicamente additato da queste critiche. Gli attacchi sono trasversali e provengono sia da sinistra (tanto, in caso di invasione vi aiutano gli Usa) che da destra (per l’effettiva difesa dei confini, l’esercito deve essere ripristinato). Invece no. 74 anni di cultura pacifista si sentono e si respirano tra la gente. Ogni tico è orgoglioso di poter affermare di vivere in un posto che rasenta il paradiso, proprio perché i carri armati, i missili, i fanatici militaristi appartengono a un altro mondo: all’inferno, quello che si è costruito in Medio Oriente, in grandi regioni dell’Africa e che ora bussa alle porte dell’Europa.

Il Costa Rica ha l’opportunità di dire al mondo con autorità morale verità scomode però certe. Verità che parlano di come la spesa militare nel mondo, durante la pandemia, è aumentata”. Così si è espresso lo scorso primo dicembre, il presidente Carlos Alvarado, durante il protocollo della celebrazione dell’abolizione dell’esercito. In settanta anni, in termini economici il Costa Rica ha potuto investire nel benessere della propria gente, mantenendo una crescita del PIL attorno al 2,44% annuale, dato che, con spese militari, si sarebbe ridotto notevolmente. Gli investimenti sono stati diretti a tutti i settori che permettono a un popolo di essere civile: salute, educazione, energia pulita, riforestazione, cultura, solidarietà. Chiedete in giro. L’esercito qui non rappresenta nulla.

Le città italiane, luna park del turismo

Il comune di Venezia ha annunciato che, a partire da aprile fino a luglio, in certe date stabilite –ventinove in tutto- sarà necessario paga...