Cento anni fa, il 15 ottobre,
nasceva Italo Calvino, un anniversario che –per fortuna- in tanti si stanno
apprestando a celebrare. Il grande scrittore era figlio di Mario, agronomo e
giornalista e di Eva Mameli, botanica, prima tra le donne in Italia a ottenere
una cattedra universitaria in questa materia. Al tempo della nascita del loro
primogenito erano a Cuba, uno a dirigere una stazione per la coltivazione della
canna da zucchero, l’altra per acquisire esperienza nel campo delle piante
tropicali. Calvino nasce a Cuba per caso e l’isola caraibica è un luogo di cui
non ha ricordi. È sanremese a tutti gli effetti, come gli piaceva sottolineare
quando gli si chiedeva dei suoi natali. Chi invece vantava una stretta
relazione con l’America Latina era il padre Mario, che approda in Messico nel
1909 su invito dell’ambasciatore messicano in Italia, Joaquín Casasús. A
Calvino senior viene offerta la Divisione di orticoltura del Ministero di
agricoltura. L’offerta messicana cade a pennello: Mario ha tutto l’interesse di
cambiare aria, di sparire. Il suo nome, infatti, è stato associato a un fallito
attentato contro l’imperatore russo Nicola II.
Per tutto il 1908, sui giornali
europei si parla del “caso Calvino”. Ma cosa è successo? Il 21 febbraio di
quell’anno, appare la notizia che lo zar Nicola II e il suo ministro Siceglovilof
sono scampati a un attentato. La polizia, prontamente intervenuta, è riuscita
ad arrestare i cospiratori, tra cui spicca un giornalista italiano che risponde
al nome di Mario Calvino. In Italia la notizia si diffonde rapidamente e si
chiede al Ministero dell’Interno di fornire informazioni sul sedicente
attentatore. Intanto, la sinistra socialista si mobilita per esprimere
solidarietà al compagno arrestato in Russia mentre l’ordine dei Giornalisti
cerca di scavare nella carriera del collega. Una settimana dopo, la Corte
Marziale russa condanna a morte Calvino, esecuzione che deve avvenire nell’arco
di tre giorni. Un appello dei giornalisti italiani viene inviato al Presidente
del Consiglio, Giovanni Giolitti, perché intervenga a favore del compatriota.
Il 29 febbraio l’ambasciatore italiano riesce a incontrare Calvino in carcere.
Si salutano in italiano, ma poi parlano in russo. Calvino mostra il suo
passaporto italiano, la qualifica di giornalista e chiede al nostro delegato di
fare pressioni perché la sua condanna venga sospesa. Niente da fare: Calvino
viene impiccato quella stessa sera assieme ai suoi complici.
Il giorno dopo, però, a Sanremo salta fuori il vero Mario Calvino. Fa l’agronomo di professione, ha 33 anni, l’aspetto mite. Viene subito convocato in questura. Qui, racconta una storia che pare inattendibile: in sostanza, dice di aver incontrato in treno un misterioso e facoltoso russo, mai visto prima, che, durante una chiacchierata l’ha invitato a impiantare una vigna nei suoi terreni. Calvino racconta di aver accettato e quindi di aver richiesto alle autorità il passaporto per poter viaggiare, passaporto che però, in un successivo incontro, il sedicente russo gli ha sottratto.
Il questore non gli crede: “le dichiarazioni del professor Calvino
appaiono inverosimili” scrive. Poi, da Berna giunge una soffiata: la
comunità russa di questa città afferma che Calvino e altri italiani hanno
consegnato spontaneamente i propri passaporti a diversi rivoluzionari. E salta
fuori il nome del giustiziato: si chiamava Vsevolod Vladimirovic Lebedintzev e faceva l’astronomo. Il mistero
si infittisce e si indaga su Calvino che risulta essere il venerabile maestro
della massoneria di Porto Maurizio, parte dell’attuale Imperia. Secondo la
polizia “sembrerebbe evidente com’egli si
sia fatto rilasciare, or sono due anni, quel documento all’unico scopo di
rimetterlo al collega rivoluzionario onde porlo in grado di rientrare in Russia
fingendosi di nazionalità italiana”. Il ritratto di
Mario Calvino che fanno i giornali è ora quello di un socialista e massone dalle
simpatie anarchiche. A questo punto l’agronomo, non rimane con le mani in mano.
Va diverse volte a Roma dove incontra vari esponenti politici e perfino il
Ministro degli Esteri, Tittoni, incaricato di firmare il trattato italo-russo. Cosa
si dicano, non si sa. Di certo, Calvino viene a conoscenza delle informative
dei servizi segreti sulla sua persona e decide di abbandonare l’Italia accettando
la proposta dell’amico messicano. In Messico Calvino ci rimarrà fino al 1917,
offrendo anche i suoi servigi alla rivoluzione di Pancho Villa, per poi
emigrare a Cuba assieme a Eva Mameli, che aveva sposato durante un suo breve
ritorno in Italia.
Italo Calvino manterrà riserbo
per lungo tempo sulla figura del padre. Si ha una lontana dichiarazione del
1960 in cui dirà a “Il Paradosso”, rivista di cultura giovanile: “Mio padre, di famiglia mazziniana
repubblicana anticlericale massonica, era stato in gioventù anarchico
kropotkiniano”. Nessuna parola sullo scandalo, appena un accenno a una vita
movimentata. Nel 1960 quella del padre è già una figura lontana che si perde
nella distanza sia storica che affettiva.
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