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venerdì 22 gennaio 2021

Il ceviche, simbolo della gastronomia peruviana

Piatto emblema della cucina peruviana, il ceviche è conosciuto in differenti varianti in tutta l’America Latina. L’elemento base è il pesce crudo –la corvina o il bonito, che abitano l’oceano ma che in Italia si possono sostituire con lo sgombro o la cernia- marinato nel limone. Oltre al pesce, potete anche usare frutti di mare: polpo e gamberetti soprattutto. Il pesce, ovviamente, deve essere fresco, freschissimo. La qualità della materia prima influisce sul risultato finale. La mano del cuoco, poi, fa il resto: cipolla rossa, coriandolo e (se li trovate) chicchi tostati di grano (la cancha), peperoncino. Se non è piccante, infatti, non è ceviche. La ricetta peruviana obbliga all’uso del rocoto –di cui abbiamo parlato qui: https://maledettitropici.blogspot.com/2020/09/il-rocoto-il-peperoncino-del-diavolo.html) o dell’ají, quest’ultimo meno pungente del primo, ma molto saporito.

Per realizzare il ceviche, per prima cosa preparate gli ingredienti: tritate il coriandolo, mondate e affettate sottilmente la cipolla rossa (50g), tritate il peperoncino. Il pesce (250g) va ripulito della pelle e delle spine, quindi va tagliato a dadi. Nel recipiente dove avete posto il pesce aggiungete la cipolla, il peperoncino e il succo di 5-6 limoni, salate e quindi mettete in frigo per un’ora a marinare. Per renderlo più appetitoso, possiamo accompagnare il piatto con il camote (la patata dolce bollita) e anche con l’avocado. Il succo in cui viene marinato il pesce viene servito in bicchierini a parte: è il famoso leche de tigre dalle proprietà afrodisiache. Perché abbia effetto dovete buttarlo giù in un paio di sorsate (nella foto, uno dei nostri ceviche casalinghi, dove si apprezzano il camote, il rocoto e il bicchierino con la leche de tigre).


Il ceviche, dicevamo, è il piatto simbolo della rinascita della cucina peruviana. A Lima il rito del ceviche a pranzo accomuna tutti e non fa distinzioni sociali. Dai mercati popolari di La Victoria o del Callao ai ristoranti alla moda di Miraflores il ceviche è il piatto più servito: in un mese, se ne contano almeno cinquanta milioni di porzioni. Dall’origine incerta –gli spagnoli, proprio i conquistatori, insistono a dire di essere stati loro a portare la ricetta a Lima, sede del viceregno; i peruviani la fanno invece rimontare alla cultura Moche, antica di diciotto secoli- il ceviche ha aperto la strada allo sviluppo attuale della cucina peruviana. A partire dal lavoro svolto dallo chef Gastón Acurio. Nel 2003, già proprietario di alcuni ristoranti a Lima, Acurio decise di percorrere il paese, trascrivendo le ricette, incontrando cuochi, mangiando nelle bettole della costa, della sierra e della selva. Il risultato di quell’esperienza finì in televisione ed in un libro, ¨Perù, una aventura culinaria¨. Da lì in poi è stata una crescita esponenziale di cui il ceviche è l’origine di tutto. Non si tratta solo di preparare una ricetta, ma di unire cultura, opportunità e riscatto sociale, come dimostra nella serie “Ceviche con sentimiento”, che potete trovare, nei suoi otto capitoli, su youtube: https://www.youtube.com/watch?v=E9Wsgr8rZ9M

sabato 17 ottobre 2020

Il pisco sour, cocktail fresco e originale dal Sudamerica

 

Un cocktail delizioso, che può servire anche come aperitivo, è il pisco sour. La sua base è ovviamente il pisco, distillato di uve originario della regione peruviana (e dalla città) che porta lo stesso nome, situata a 250 chilometri a sud di Lima. Origine peruviana, rivendicato dai cileni, il pisco sour, narra la storia, nacque nel 1920 nel bar Morris, frequentato ritrovo dei capitalini che si trovava nel centro di Lima. Alla chiusura del bar, avvenuta già nel 1929, la ricetta venne portata all’hotel Maury, dove venne migliorata con alcuni ingredienti oggi ritenuti fondamentali. In quegli anni comincia anche la sua diffusione in Cile.

Come si prepara? Gli ingredienti sono i seguenti, per quattro persone: pisco peruviano (una tazza o una tazza e mezzo), succo di limone (una tazza), zucchero (una tazza). Mettete in quest’ordine nel frullatore e quando si è dissolto lo zucchero, aggiungete il ghiaccio (una tazza) e un albume d’uovo e riprendete a frullare. L’albume ha un suo importante ruolo, ossia quello di mantenere viva la spuma, caratteristica di questo cocktail, che si accomoderà sulla superficie del bicchiere. Agitate per circa un minuto e quindi aggiungete alcune gocce di amaro di angostura. Una volta versato nel bicchiere, date una spruzzata di cannella in polvere.

Il cocktail è fresco, aspro e speziato, una bontà, ideale per aprire un pranzo a base di pesce o, come fanno in Perù, in attesa del ceviche. Con gli anni il pisco sour è diventato uno dei simboli culinari del Perù, che ha dedicato, il primo sabato di febbraio, una giornata in suo onore. Inoltre, dal 2007 è considerato patrimonio culturale della nazione sudamericana.

giovedì 8 ottobre 2020

Los Saicos: quei quattro peruviani che "inventarono" il punk

 


 

Nel luglio 1963 il Perù elegge come presidente Fernando Belaúnde Terry, un architetto dalla traiettoria democratica. È un’elezione mirata, che congela gli estremismi che l’anno precedente avevano portato la sinistra al governo e quindi provocato il conseguente colpo di stato militare. In piazza erano volate botte da orbi, c’erano stati morti e l’elezione di Belaúnde aveva la chiara intenzione di calmare le acque con un’amministrazione dichiaratamente centrista ed aperta agli investimenti stranieri. Detto, fatto. Il Perù, a partire da quell’anno, si apre al resto del mondo. Sarà per una breve stagione, che durerà fino al golpe di Velasco, nell’ottobre 1968, sufficiente però perché una generazione di adolescenti sogni, canti e balli con la musica di Beatles, Rolling Stones, Elvis, Beach Boys. Con i loro dischi arrivano anche le chitarre elettriche e nel 1964 a Lince, quartiere popoloso della capitale, quattro ragazzi ci provano. Decidono di chiamarsi Los Sádicos, i sadici, poi a qualcuno viene in mente di togliere la d e rimane così Los Saicos. Una coincidenza, per assonanza fonetica in lingua spagnola, con quella ¨Psycho¨ dei Sonics (1965), gruppo a cui i peruviani sembrano essere legati da un filo invisibile attraverso il continente americano. Perché i Saicos suonano come nessuno ha fatto fino ad allora. Loro sono quattro: Rolando Carpio, il Chino (chitarra), César Castrillón (basso), Pancho Guevara (batteria) ed Erwin Flores (voce e chitarra). Flores, in un paese abituato ai bei fraseggi melodici della canción criolla, rompe ogni schema. Non canta, infatti, ma urla, ed il suo screaming viene incitato dal fratello Harry, che si improvvisa manager e riesce a far esibire il gruppo al concerto annuale della Cadena de Comentaristas de Discos del Perù. Ambiente da canzone romantica, bigottoni in platea, qualche pezzo di gruppi popolari dell’epoca e poi i Saicos che suonano ¨Come On¨ (non quella di Chuck Berry). È come passare un’unghia su una lavagna, ma dopo i primi secondi di silenzio, la platea è in piedi ad applaudirli. Da quella serata i Saicos ne escono due contratti: uno discografico ed uno televisivo. ¨Come On¨ diventa il primo di sei singoli –usciti tra il 1965 ed il 1966-, tra cui ¨Demolición¨, che diventerà il loro hit: surf, proto punk, garage ed Erwin Flores che anticipa Lux Interior di una buon decennio con un urlo –il tatatata yaya in riverbero- che diventa il tormentone di quella stagione.

I giornali peruviani parlano di “vandalismo sonoro”, ma intanto i Saicos riempiono i teatri e passano una volta alla settimana in televisione, con il loro programma ¨La Hora de los Saicos¨. Dopo ¨Come On¨ il gruppo snocciola una serie di hit, tutti rigorosamente in spagnolo e su 45 giri: ¨Cementerio¨, ¨Camisa de Fuerza¨, ¨Salvaje¨, ¨El entierro de los gatos¨, ¨Fugitivo de Alcatraz¨, ¨Besando a otra¨. I dischi sono rigorosamente senza copertina, venduti in busta plastica con una semplice fascia che riporta il nome della casa discografica. Si trovano nei mercati popolari, il vero emporio di Lima, dove si vendono assieme alla frutta e alle spezie. Los Saicos suonano dal vivo a ritmo stakanovista, a volte perfino cinque volte al giorno in cinque posti differenti, facendo il giro dei cinema e dei teatri della capitale. Il successo sembra debba durare in eterno, ma come il clima politico prossimo a cambiare, anche l’entusiasmo per i Saicos si raffredda e quando il generale Velasco rovescia il governo democratico, restringendo le libertà individuali, il gruppo si scioglie. I Saicos sono logori: bisticciano tra di loro, non compongono più e non riescono a rispondere alle esigenze della compagnia discografica che gli chiede materiale nuovo per un LP. Insomma, mancano le idee. Erwin Flores, la voce demenziale, prova prima la carriera solista in patria ed in Argentina (senza fortuna) e poi se ne va negli Stati Uniti, dove si laurea in fisica e lavora prima alla Nasa e quindi in una multinazionale farmaceutica. Castrillón lo segue a ruota. A Lima rimane solo il batterista, Pancho Guevara. Storie normali per chi conosce la musica e la sua quotidianità.


Passano gli anni e, alla fine dei Novanta, qualcuno in Spagna si ricorda di loro ed assembla i 45 giri dei Saicos in un cd, ¨Wild Teen Punk from Perù¨ per la Electro Harmonix. È l’inizio della Saicomanía, un’onda inarrestabile che si propaga prima sulle fanzine, poi sui siti internet ed arriva quindi sulle pagine dei giornali specializzati e dei quotidiani. Riascoltando i pezzi, alcuni critici non hanno dubbi ad attribuire la primigenia del punk al quartetto di Lince. Nessuno dei membri originali dei Saicos è al corrente dell’operazione ed il primo a rendersene conto è Erwin Flores, che trova il disco in un negozio. I giornalisti lo cercano e lui, fedele al personaggio dell’urlatore di ¨Demolición¨ si comporta da vero punkster quando gli chiedono la relazione tra Saicos e punk: ¨il punk è una musica di merda, per gente che non sa una merda di musica¨ dichiara. Più punk di così, non si può, altro che fisico della Nasa. Nel frattempo il Chino Carpio è morto, ma Flores ritrova l’amico Castrillón -per caso vivono entrambi nella zona di Washington DC- ed insieme prendono la palla al balzo e ricostituiscono il gruppo. Nel 2010 li rivogliono a Lima, nel quartiere Lince dove sono nati e cresciuti, a ridosso dell’oceano Pacifico. Suonano in Perù dopo 45 anni dai loro esordi e per l’occasione, proprio nel loro quartiere, viene scoperta una targa che ne ricorda le gesta. Il  Comune, addirittura, gli dedica una via. La Saicomanía non si placa ed il film-maker Héctor Chávez realizza il documentario ¨The World Should Know¨: il segreto meglio conservato dei Sixties è infine rivelato al mondo intero. Il punk, insomma, è nato in Perù.

venerdì 18 settembre 2020

Il rocoto, il peperoncino del diavolo

Si chiama capsicum pubescens ma è conosciuto come rocoto, una derivazione del quechua rukutu. È un peperoncino e, soprattutto, è uno degli ingredienti principali della cucina peruviana e della gastronomia andina in generale. Nella scala Scoville, che determina il grado piccante dei peperoncini, si trova ad un grado medio alto, appena più in basso dell’habanero e simile al peperoncino giamaicano. Dalla forma simile a quella del pomodoro, resenta, ovviamente, i classici colori dei capsicum: rosso, verde, giallo.

Originario di Ica, città a 300 chilometri da Lima in direzione sud, ha una storia antica. Era usato infatti già dalle popolazioni autoctone e se ne sono stati trovati resti in tombe risalenti a duemila anni fa. Come lo usiamo? Principalmente tagliato a fettine nel ceviche o in altri piatti tipici della tavola peruviana, soprattutto nelle zuppe. A Arequipa, addirittura, lo servono come piatto unico: il rocoto ripieno, più o meno come noi facciamo i peperoni ripieni (nel farcirlo i vari ingredienti possono variare, ma la carne macinata e la cipolla tritata sono immancabili). La differenza con il peperone sta nel piccante. Si dice che questo piatto venne inventato all’inizio del XIX secolo quando Manuel Masías, un sacerdote, volle fare un patto con il diavolo per riottenere l’anima della figlia morta. Doveva presentare un piatto che soddisfacesse il palato di Satana e quindi ideò il rocoto ripieno (soprassediamo sul fatto che il curato avesse una figlia).

Nella cucina di casa ne facciamo un uso costante. Ogni piatto di pesce alla “macho” deve avere la sua buona porzione di rocoto, che serve a condimentare il caldo, ossia il sugo con cui cuciniamo e poi serviamo il pesce. Naturalmente è ingrediente immancabile del ceviche. Questo piatto principe della cucina peruviana viene servito con toni piccanti: se lo volete moderatamente forte chiedetelo con l’aji, un peperoncino nobile e dal sapore delicato, ma se volete provare emozioni intense, allora lasciate spazio al rocoto. Di lui, inoltre, si dice assai bene: protegge da ulcere e gastriti e la capsaicina, di cui è ricco, stimola la segregazione di succhi gastrici. Gli Inca, che ben lo conoscevano, lo usavano come antinfiammatorio.

martedì 15 settembre 2020

Quando Mick Jagger e Keith Richards si persero sulle Ande

 

Febbraio 1969. ‘Beggar’s Banquet’ dei Rolling Stones è da poco uscito nei negozi di mezzo mondo. ‘Sympathy for the Devil’ satura i juke box, Brian Jones è in rotta con la band, i critici dibattono sulla nuova svolta rock’n roll del gruppo. La pressione è alle stelle, ma a un certo punto Mick Jagger e Keith Richards scompaiono nel nulla. Nessuno sa dove siano finiti. Il mistero dura qualche giorno, quando la coppia riappare, con un’intervista sulla rivista peruviana ‘Ritmolandia’, drink alla mano sulla Costa Verde della capitale. Subito si pensa a un falso: che ci fanno i due Stones in Perù? Il paese non è proprio quello che si dice un’oasi di stabilità, il dittatore di turno, Velasco strizza l’occhio all’Unione Sovietica e tollera appena le novità dall’estero, la musica dei capelloni, la cultura cosmopolita. Infatti, qualche mese dopo la visita dei due Stones la tolleranza finisce di brutto. Carlos Santana, venuto a suonare allo stadio, viene praticamente cacciato a calci in culo, con tanto di detenzione ed espulsione dal Paese. I suoi strumenti e quelli del gruppo, abbandonati in una casa di Chicaclayo, verranno rubati o spartiti tra i fans.

Perché Jagger e Richards sono finiti in Perù? Non sono certo lì per suonare. Poco tempo prima avevano conosciuto a un party londinese José Varela, il figlio del console peruviano in Inghilterra che gli parla a lungo delle meraviglie di Machu Picchu. Richards ammette di essere attratto da tempo dal misticismo andino ed è affascinato dalla città inca. È alla ricerca di ispirazione per le prossime canzoni e Varela non ci pensa due volte ad estendere l’invito. Keith Richards invita a sua volta Mick Jagger che accetta e i due giungono a Lima con una piccola comitiva. Oltre a loro, ci sono Anita Pallenberg, lo scrittore regista Tony Foutz –lo stesso che si vedeva spesso a fianco di Gram Parsons- e l’anfitrione, il figlio del console. I cinque alloggiano in vari hotel, ad Ancón, all’hotel Playa Hermosa e nel centro di Lima. Richards rilascia un paio di interviste tra un drink e l’altro in attesa della partenza per le Ande. I giornalisti, che si aspettavano risse negli hotel e simpatia per il diavolo, si trovano invece di fronte a dei tipi tutto sommato tranquilli, che il pomeriggio passeggiano in bermuda sulla spiaggia e la sera assistono ai concerti dei gruppi locali. Le voci di camere d’albergo messe a soqquadro e droga-party sono smentite dagli stessi direttori degli hotel di Lima dove i due Stones soggiornano, il Crillón e il Bolívar. Il costante cambio di albergo ha ragioni ben precise: in un’intervista a ¨La Prensa¨ Jagger rivela di essere alla ricerca di tranquillità per poter scrivere la colonna sonora di ‘Performance’, film di Nicolas Roeg, nel quale sia lui che la Pallenberg devono ricoprire ruoli da protagonisti. 

Se si aspettavano qualche scandalo, i giornalisti devono ricredersi. Jagger, addirittura, confessa di avere in camera una copia del ‘Don Chisciotte’ che legge prima di addormentarsi. Il gruppo parte all’improvviso per Cuzco e, a quel punto, fa perdere le sue tracce. Cosa succeda sulle Ande non lo ricordano forse neanche loro. Sergio Galarza e Cucho Peñaloza ci provano a indovinarlo in un libro, ‘Los Rolling Stones en Perú’, dove abbondano le supposizioni. Raccolgono alcune testimonianze che affermano che la coppia Jagger-Richards, influenzata dalla mistica cusqueña e dal Valle Sagrado, abbia qui scritto sufficiente materiale per un album intero. È questo, infatti, l’ombelico del mondo, il centro dell’universo dove convergono le forze primordiali. Il pellegrinaggio di due anime tempestose nel cuore del misticismo inca non può non aver lasciato traccia. Invece, il singolo “Honky Tonk Woman” a luglio e poi l’album “Let It Bleed”, del dicembre successivo dimostrano proprio il contrario. Inoltre, per i Rolling Stones il 1969 si rivela un anno terribilis marcato dalle morti, quella di Brian Jones e di Meredith Hunter ad Altamont. Jagger, comunque, rimarrà affascinato dalle atmosfere sudamericane e in Perù ci tornerà nel 1981, per partecipare alle riprese di ‘Fitzcarraldo’, la storia del visionario Brian Sweeney Fitzgerald, ambientata appunto a Iquitos, nell’Amazzonia peruviana.

 

Le città italiane, luna park del turismo

Il comune di Venezia ha annunciato che, a partire da aprile fino a luglio, in certe date stabilite –ventinove in tutto- sarà necessario paga...