lunedì 3 giugno 2024

San Francesco, il Cantico e la nascita della letteratura italiana

Quando, nel settembre 1224, San Francesco scende dai monti della Verna, porta con sè non solo le stimmate ma anche l’abbozzo di quello che diventerà “Il cantico delle creature”. «Altissimu onnipotente bonsignore, tue so' le laude la gloria e l'honore et onne benedictione» recita l’incipit della lode al Signore, scritta di getto secondo le fonti francescane, dopo una notte di tormenti a cui sarebbe seguita la visione celestiale che lo ispira e lo guida. Il cantico è un inno al Signore intriso di misticismo e spiritualità ma è anche, a tutti gli effetti, il primo componimento poetico della nostra storia letteraria. San Francesco, primo poeta della letteratura italiana, quindi, ma non è stato così facile. Ci è voluto un lungo cammino per stabilire il valore di un documento che si muove su un territorio tribolato dove l’esperienza mistica -essenza divina-, si mescola con la poesia, espressione del profano.

Gli stessi francescani per lungo tempo rifiutarono la qualità poetica del cantico, inquadrandolo nel limitato ma glorioso universo spirituale. Di stesso avviso era la critica letteraria dell’Ottocento: la poesia religiosa non era altro che “una letteratura senza eco nella classe colta, da cui esce l’impulso per la vita intellettuale” (De Sanctis). Poco importa che fosse espressa in volgare, esperimento che per Francesco significava l’affrancamento dal latino, considerata la lingua del potere e, di conseguenza, di pochi. Il “Cantico delle creature” era stato pensato per essere cantato dai confratelli, alla maniera dei Salmi di biblica memoria, un inno da portare nelle chiese e nelle messe e diretto quindi alla povera gente. Già solo per questo il documento aveva un grande valore popolare in un contesto, quello dell’Italia del XIII secolo, dove era molto radicata la tradizione orale. Da qui viene anche il linguaggio semplice del testo, ma capace comunque di esaltare l’ascetismo del santo. Nell’ottica dei frati, la letteratura non era cosa di Dio; per i critici dell’Ottocento, gli intellettuali dovevano giocoforza fare i conti con il potere. Altri tempi. Ci ha pensato la critica recente a rivalutare il testo.

La strada viene aperta da Gianfranco Contini, critico austero ma preciso. Alberto Asor Rosa, nella “Storia della letteratura europea”, ci confida il respiro europeista del santo e lo colloca nel punto di partenza della nostra letteratura. “Il Cantico delle creature” si afferma come la prima composizione di carattere poetico in volgare italiano. Non solo. La sua apparizione dà forma alla letteratura italiana, complice anche un mosaico di esperienze che si stavano vivendo in tutta la penisola. E la nostra letteratura si plasma, prendendo da subito caratteri fondamentali, ritagliandosi una propria identità, che si realizza infine con “La Commedia” di Dante, culmine della sua prima fase creativa. 

È moderno “Il cantico delle creature”? Quanto lo sentiamo vicino a noi? Parafrasi alla mano per i meno esperti, siamo di fronte a una lode al Signore e a un inno al creato. La novità non è solo nell’uso del volgare umbro, ma nell’esprimere i valori cristiani fondati sull’amore e sulla pace. Dio è dappertutto, è nella natura che ci circonda e questo significa che l’ascetismo professato da Francesco non era un elemento passivo, ma si cibava delle meraviglie dell’universo. La morte, evocata negli ultimi versi, non deve essere temuta perché è parte della vita, un tassello in più dell’armonia. Inconsapevolmente, Francesco sta tendendo le mani verso un nuovo mondo, che non è più il Medioevo ma un’epoca che, poco a poco, modellerà il pensiero occidentale.   


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