giovedì 11 marzo 2021

Il secolo del tango: i 100 anni di Astor Piazzolla

Chi si ricorda di Astor Piazzolla? In Argentina, tutti, al punto che alla riapertura dei teatri a marzo, il primo omaggio è stato per lui. Il maestro che ha rinnovato l’idea del tango nasceva, infatti, cento anni fa –l’11 marzo 1921- a Mar del Plata da Vincenzo Piazzolla emigrato da Trani e Assunta Manetti, originaria della Garfagnana. Cresciuto tra Buenos Aires e New York, è in questa città che il giovane Piazzolla si fa le ossa caratterialmente e musicalmente. Incontra Bela Wilde, pianista alunno di Rachmaninov, con cui parla di jazz e classica e da cui apprende la disciplina alla quale il musicista deve sottostare per soddisfare le pretese dell’arte. Il suo strumento è il bandoneon che il padre gli ha comprato in una casa di pegni, una zavorra di dieci chili che lui, zoppo per una malformazione a una gamba, avrebbe caricato per il resto della vita. New York viene vissuta come un sogno. Sono gli anni dei gangster, del proibizionismo, della fame, ma anche dell’incontro con Carlos Gardel a cui mostra con orgoglio il bandoneon. Il maestro del tango gli vaticina un gran futuro e lo vuole con lui, come comparsa, in un film.

Ha quindici anni quando torna in Argentina. Il suo percorso musicale è lento, difficile. Qualcuno lo deride per quello strumento inusuale che ha scelto, ma Piazzolla sa che un musicista, un signor musicista, non si improvvisa. Per sei anni prende lezioni dal compositore Alberto Ginastera e, intanto, si avvicina alle orchestre del tango, prima tra tutte quelle del mito Aníbal Troilo. È affascinato dalla musica classica, ma allo stesso tempo viene coinvolto dal movimento tanguero, da quella melodia malinconica che tiene ammaliato un intero paese. Comincia ad esporre le sue idee, ma non trova terreno fertile. I puristi lo tacciano di “voler assassinare il tango” (e qualche anno più tardi di “averlo assassinato”), l’opinione pubblica di non essersi schierato con il peronismo. Via, allora. Lo sbarco in Europa è targato 1954 e Piazzolla, invece di proporsi come musicista già affermato, torna a prendere lezioni, questa volta da Nadia Boulanger, a Parigi. Quella prima esperienza europea lo cambia radicalmente. I concerti di Gerry Mulligan, le lezioni con la Boulanger, jazz e musica classica che si alternano e si mischiano, il tango come base comune. Piazzolla sviluppa così il suo suono unico e di ritorno a Buenos Aires lo mette in pratica con l’Octeto Buenos Aires: per la prima volta in un’orchestra tanguera appare la chitarra elettrica, il tango si fa grande, cambia la metrica, si arricchisce la scrittura. È per l’Argentina, il Borges della musica: entrambi impiantano sistemi nuovi di scrittura, inaugurano stili personali che aprono strade da esplorare. La vecchia guardia lo deplora: il tango di Piazzolla non è ballabile, è complicato, e lui chiede cose impossibili ai musicisti. El nuevo tango uccide quello vecchio.

La sua voglia di confrontarsi sarà continua ed è così che a partire dagli anni Sessanta, mentre il tango classico declina, Piazzolla trova nuove aree comuni nel rock, nel jazz, nella musica latina. Dal 1973 al 1978 vive in Italia e nel mezzo di questa esperienza nasce il suo capolavoro “Libertango” (1974), disco al quale partecipano, tra gli altri, Tullio de Piscopo, Pino Presti, Gianni Zilioli. Mentre l’Argentina lo deplora, il mondo lo fa grande. Fino a quando una trombosi lo riduce a una morte lenta, due anni di agonia terminati il 4 luglio 1992. Il 2021 sarà il suo anno anche nella natale Argentina, che gli sta dedicando mostre e concerti fino all’apoteosi prevista per il 31 dicembre in un grande concerto pubblico davanti all’Obelisco di Plaza de la República a Buenos Aires. 

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