Ad Antonio Canova non piaceva Napoleone. Il celebre scultore riteneva il corso un saccheggiatore, il responsabile della spoliazione da parte dei francesi delle opere d’arte italiane. Dopo la Campagna d’Italia, Napoleone aveva istituzionalizzato il saccheggio attraverso armistizi capestro che, oltre a porre durissime condizioni politiche e territoriali, imponeva la consegna alla Francia delle principali opere del patrimonio artistico degli stati assoggettati. Canova, all’epoca considerato uno degli artisti europei di maggior prestigio, criticò da subito la politica del “bottino di guerra” voluta da Napoleone per costituire un Museo universale a Parigi, che il generale considerava la culla della cultura europea.
Nonostante la critica e pur avendogli anche abolito il vitalizio che riceveva dallo Stato Pontificio, Napoleone considerava Canova il migliore nel suo campo e lo chiamò nella capitale francese perché lo immortalasse in un busto. Canova declinò l’invito e ci volle l’insistenza di papa Pio VII, da cui lo scultore era a servizio, per convincerlo –anzi, obbligarlo- a prendere la strada per Parigi. Canova vi giunse nell’ottobre 1802 e qui incontrò il Primo console (Napoleone diventerà imperatore due anni più tardi) per cinque sessioni, durante le quali ricavò due busti. Lo scultore si comportò in maniera professionale, ma rifiutò più volte l’invito espresso da Napoleone di stabilirsi a Parigi e tornò a Roma. Come scrisse all’amico Antonio D’Este: “non mi tratterrei qui nemmeno per tutto l’oro del mondo... vale più la mia libertà”.
Napoleone, però, non era sazio. I busti erano poca cosa per celebrare la sua gloria e commissionò a Canova una statua colossale da esporre in una piazza di Parigi. Gli spiegò di voler essere rappresentato come i grandi protagonisti della storia classica, un eroe sospeso tra mito e realtà. Canova gli rispose di non preoccuparsi: l’avrebbe raffigurato come Marte pacificatore. Si mise al lavoro e preparò una statua che raffigurava le richieste di Napoleone, un colosso di quattro metri d’altezza dove il condottiero, come un moderno Cesare, reggeva la lancia in una mano e nell’altra il globo della vittoria.
La statua arrivò a Parigi nel 1811. L’attesa era grande e Napoleone convocò per l’occasione i suoi marescialli e i notabili di Francia. Quando la statua fu svelata la folla e lo stesso Napoleone ammutolirono. L’imperatore era sì ritratto come un dio greco, ma era anche nudo. Se l’assioma classicismo-nudità funzionava per i personaggi dell’antichità, idealizzati e lontani nel tempo, l’effetto sul condottiero in carne e ossa che voleva assoggettare l’Europa intera rasentava il ridicolo. Non ci fu piazza di Parigi ad accogliere il colosso e la statua, su ordine di Napoleone, venne accantonata al Louvre, coperta perennemente da un telo.
La rivincita di Canova venne completata quattro anni dopo quando, in piena Restaurazione, si presentò al Louvre per riprendersi le opere sottratte allo Stato Pontificio. Un lavoro difficile e tortuoso, osteggiato non solo dai francesi, ma anche da austriaci e russi che un po’ avevano cominciato a credere all’idea napoleonica del Museo universale. Cosa che poi, il Louvre, in fondo, non ha mai cessato di esserlo. Più della metà delle opere trafugate da Napoleone in Italia non è mai tornata a casa e quadri, sculture, affreschi, arazzi sono ancora lì a dimostrare come le spoliazioni napoleoniche siano ancora una ferita aperta per il nostro patrimonio artistico. In quanto al Napoleone nudo di quattro metri di altezza è oggi nella casa-museo del suo arcinemico Lord Wellington, l’inflessibile inglese che riuscì a denudare il re sul campo di battaglia e a porre fine alla sua deriva dispotica.
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