Angeli e arcangeli, protettori ma
all’occasione anche vendicatori, ornati d’oro, armati di archibugi e
pomposamente vestiti di broccato sono una delle espressioni più conosciute dell’arte
figurativa peruviana. Los ángeles
arcabuceros vengono oggi copiati e venduti in serie ai turisti, riprendendo
una corrente pittorica che si è sviluppata nella regione di Cuzco nella seconda
metà del XVII secolo. La loro storia è peculiare. Al momento della loro
creazione questi dipinti erano considerati strumenti di propaganda per
consolidare agli occhi degli autoctoni il peso e il potere della religione
cattolica. Bisognava sostituire gli elementi naturali come il sole (inti), il fulmine (illapa), la luna (quella)
e tutti i fenomeni naturali con i simboli religiosi cristiani. Ad adempiere a
questo compito vennero chiamati i gesuiti, la cui visione dell’arte era intesa
come strategia di evangelizzazione. E infatti, fu un gesuita italiano,
marchigiano per l’esattezza, a impulsare e consolidare in Perù l’arte
figurativa.
Nato a Camerino nel 1548 Bernardo Bitti, viene mandato ragazzino a Roma per studiare pittura. A venti anni entra nella Compagnia di Gesù e quando l’ordine riceve dal Nuovo mondo la richiesta di un pittore per il viceregno del Perù, i suoi superiori lo mandano a Lima. Bitti vi giunge nel 1575, a ventisette anni quando il vicerè dell’immensa regione è il bacchettone e spietato Francisco de Toledo, diventato poi famoso con il soprannome di ¨supremo organizador¨. Toledo, che è espressione estrema del giogo coloniale, prima di tutto fa fuori gli ultimi inca ribelli rimasti (è lui che manderà ad impiccare Tupác Amaru), poi consolida la mita, il sistema di lavoro obbligatorio che mantenne per secoli gli indigeni andini sotto schiavitù. Non ultimo, instaura il primo tribunale dell’Inquisizione d’oltreoceano. Un bel tipo, insomma. Sotto di lui e con la collaborazione dei religiosi (gesuiti e domenicani), impone la propaganda cattolica attraverso l’arte. Santi, madonne, profeti, scene di miracoli imbiancano i muri e le tele nelle chiese e nei conventi, nelle piazze e nei luoghi dell’amministrazione pubblica, a testimoniare il potere religioso e politico degli Spagnoli. Bitti fa parte del manipolo di artisti europei chiamati ad assolvere a quel compito. Lo fa con ardore e con prolificità. Per otto anni rimane a Lima poi, nel 1583, si sposta a Cuzco. Bitti lavora non solo nell’antica capitale incaica, ma su buona parte dell’arco andino: a Juliapa, Puno, Chuquisaca e Arequipa prima di tornare a Lima per morirvi nel 1610. Nell’arco dei trentacinque anni trascorsi in Perù ha tutto il tempo non solo di evangelizzare, come i suoi superiori gli avevano intimato, ma di insegnare l’arte pittorica –fortemente influenzata dal manierismo- a una manciata di allievi di estrazione indigena. Il risultato è uno stile singolare che fa spesso a pugni con la prospettiva, ma che introduce la singolarità di elementi paesaggistici e culturali legati all’ambiente andino ed amazzonico. Più ci si allontana nel tempo dagli insegnamenti di Bitti e più i pittori di Cuzco si addentrano in quella che diventa la peculiare Escuela Cuzqueña, tra madonne indigene ed arcangeli vestiti da nobili spagnoli, con sacro e profano a confrontarsi sulla stessa tela. Lontano dagli occhi dei gesuiti e, di conseguenza, dal loro controllo, i colori si fanno più vivaci ed i particolari minuziosi.
L’associazione tra il nobile spagnolo e l’immaginario religioso diventa indissolubile e nella seconda metà del XVII secolo cominciano ad apparire gli arcangeli con l’archibugio, nella zona di Calamarca, nelle vicinanze di La Paz, in Bolivia. Il genere ha successo, al punto che giungono commissioni da tutta l’America dell’arco andino e fino alla pampa argentina. A Lima e a Cuzco sorgono botteghe specializzate proprio sul tema degli arcangeli armati, che diventano comuni nelle case patrizie e nei luoghi di culto. Le richieste si fanno sempre più esigenti e presto ai colori ad olio si aggiunge l’oro, a definire non solo i particolari più importanti del dipinto, ma anche le cornici, pregiate e preziosissime. Quella che doveva essere un’arte povera, nata dagli indigeni che volevano esprimere il loro contatto con il nuovo ambito religioso, diventa manifestazione di ricchezza destinata ad arredare le case signorili della borghesia latinoamericana.