Non è facile stabilire una data precisa che definisca la nascita della pizza. Piatto dei poveri per eccellenza, comincia la sua storia come una focaccia su cui vengono sparsi i resti del pescato del giorno o l’origano. Ingredienti appunto poveri che marinai, soldati, bottegai consumano sopra una focaccia bianca perché a fine Settecento la pizza, a Napoli, si mangia per strada. Ci sono i venditori ambulanti che girano per i rioni, ma poco a poco si sente la necessità di sedersi a un tavolo, proprio come si fa in famiglia. E allora, ecco che nascono le “stanze”, vani affacciati sulla strada, una camera appartenente al nucleo famigliare che viene improvvisato negozio. Si cucina all’improvvisata, sulle cucine a legna, con l’acqua che è attinta dai pozzi che scavano nel sottosuolo cittadino. La gente passa e compra la pizza: i tavoli sono una novità e una schiccheria che presto prende piede. Ci si sofferma, si fanno quattro chiacchiere e poi via di nuovo.
Nel 1807, secondo l’Archivio di
Stato napoletano, ci sono 55 esercenti pizzaioli che dispongono di bottega. Gli
ambulanti, però, continuano a fare il loro mestiere. Comprano le pizze dalle
“stanze” e le vendono in strada, quasi sempre a tranci, con il loro carretto. Vengono
citate nei testi le stanze di Port’Alba, Pietro e basta così, le stanze di
Porta Carità, quest’ultima diventata oggi la pizzeria Martozzi. Ci sono anche i
primi commenti di personaggi famosi, come quello di Alexandre Dumas padre, noto
amante della buona cucina, che prova la pizza nel 1835 e la considera,
nonostante la semplicità, “un piatto
complesso”. Samuel Morse, l’inventore dell’alfabeto dallo stesso nome, è
invece categorico nel suo giudizio: “una
specie di torta nauseabonda” che somiglia “a un pezzo di pane tirato fuori da una fogna”. Il palato raffinato
di Morse poco può sopportare la pizza, alimento povero destinato alla gente che
lavora e che, spesso, non ha i soldi per potersela pagare. Ed è così che nasce
l’idea della pizza a otto, un sistema che permette di mangiare i tranci una
volta al giorno e poi pagare la pizza intera a fine settimana, una volta
ricevuta la paga.
Napoli a quel tempo conta quasi 400.000
abitanti ed è una bomba a orologeria in materia di sanità pubblica. La rete
fognaria è fatiscente, la spazzatura viene lasciata a marcire per le strade,
nei quartieri del centro storico l’aria ristagna, le abitudini igieniche sono pessime.
Nell’autunno del 1836, mentre il re Ferdinando II è a Vienna alla ricerca di
una nuova consorte (Maria Cristina è morta a gennaio per le conseguenze del
parto) scoppia nel Regno una tremenda epidemia di colera, che si protrae fino
all’ottobre 1837, causando migliaia di vittime -una stima dell’epoca parla di
almeno 30.000 decessi solo nella città partenopea-. Tra le vittime, anche se
oggi considerata collaterale, c’è anche il poeta Giacomo Leopardi.