lunedì 28 dicembre 2020

L'invenzione narrativa: "Il genio maligno" di Rafael Angel Herra

La lettura di Rafael Angel Herra è una costante sorpresa. Nulla è scontato, l’invenzione naviga tra la realtà e la fantasia, ci sbatte come se fossimo su una zattera su un mare in tempesta. Considerato uno dei principali rappresentanti dell’attuale letteratura centroamericana, Herra è stato tradotto in lingua italiana l’anno scorso con “Il genio maligno” (l’originale risale al 2014), edito da Oèdipus. Costaricano, membro dell’Accademia della Lingua di questa nazione, insignito in Italia con il premio “Alfonso Gatto” di poesia, Herra è autore versatile, che fa della pagina terreno di creazione incondizionata usando poesia, narrativa, saggistica con lo stesso intenso peso letterario. La versatilità è padrona della sua penna e questa particolare peculiarità è presente proprio ne “Il genio maligno”.

La trama ha bisogno di poche parole. Aldebarán, personaggio narrante, il Genio, inizia a raccontare una storia, quella di un uomo che è in attesa sulla sponda di un fiume. Non succede nulla, ma senza avvenimenti, non c’è racconto. Il suo unico interlocutore è il cane Diogene che lo sprona ad andare avanti, a narrare, ad entrare nell’anima di quell’uomo solitario, a creare un racconto. Aldebarán inizia così a modellare differenti versioni dell’attesa dell’uomo in riva al fiume. Diogene ascolta e interviene, interloquendo e mettendo alla prova l’instabilità del Genio. E mano a mano che procediamo con la lettura, scopriamo che il fiume non è altro che il tempo, che l’uomo vive la sua vita nelle parole di Aldebarán e conosce fortune e sfortune, gioie e delusioni, avventure e disavventure come qualsiasi essere umano. Fino alle ultime righe, rivelatrici dell’invenzione narrativa del libro.

Il narratore che accompagna il lettore lungo le righe di “Il genio maligno”, Aldebarán, è il sunto della citazione, ma è anche l’espressione del vissuto letterario di Herra, eterogeneo, profondo e sincretico, comune denominatore per chi ama la letteratura, e che paga tributo ai miti greci, a Dante, a Cervantes, a Kafka. Il tempo passa, il fiume scorre, la vita scivola via, ma la storia si ripete: “tutti i racconti sono uno e lo stesso”, afferma il saggio Diogene, cane pidocchioso ma attento ascoltatore.

Dicevo che la trama ha bisogno di poche parole. Non così il contenuto. C’è sagacia e c’è intriga in questo libro. La sagacia di Aldebarán è quella di un folletto che ci vuole ingannare; l’intriga, invece, riguarda il lettore: fino a quando siamo disposti a seguire il suo gioco?. E di domanda ne sorge un’altra: dove va a parare “Il genio maligno”?. Il racconto che non finisce mai, che si rinnova nella pagina seguente, riporta alla memoria certe affascinanti invenzioni letterarie come quella di Italo Calvino di “Se una notte d’inverno un viaggiatore” o quelle presenti in certe pagine di Donald Barthelme, che ci portano a riflettere su quelle che sono le molteplici possibilità che offre la letteratura. “Il genio maligno” potrebbe andare avanti all’infinito, riempire mille pagine, ergendosi a lemniscata letteraria. Tocca un punto che, per chi si vanta del mestiere di scrittore, è controverso ma fondamentale: in fondo, da Omero a oggi, non stiamo sempre riscrivendo la stessa storia?

Un ultimo appunto. Il libro è accompagnato dalle illustrazioni di Mónica Salazar Arce, corollario che dà al volume eleganza e unicità.

 

Rafael Angel Herra, Il genio maligno, Oèdipus editore, Salerno/Milano, 2019.

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