martedì 29 giugno 2021

Il romanzo, poco epico, dell'emigrante sull'oceano

Tra i tanti i romanzi caduti nell’oblio, ho ripescato “Sull’oceano”, scritto da Edmondo De Amicis e pubblicato nel 1889, tre anni dopo il successo di quello che è il suo romanzo più riconosciuto, “Cuore”. Sono gli anni che seguono l’Unità d’Italia, anni di fermento ma anche di poche soluzioni per un paese in grande maggioranza analfabeta e privo di occasioni d’impiego. Le campagne, sia a nord che a sud, offrono solo sofferenza e povertà. Dalla proclamazione del Regno alla pubblicazione del romanzo di De Amicis più di tre milioni di italiani se ne sono andati all’estero alla ricerca di fortuna (Francia, Germania, Stati Uniti, Argentina e Brasile le principali destinazioni). De Amicis, che è scrittore ma anche e soprattutto giornalista, detta reportage di ampio respiro che, come nel caso di “Sull’oceano” si trasformano in lunghi romanzi. Per vivere l'esperienza, si imbarca nel 1884 su un piroscafo che fa rotta verso l’Argentina. L’azione si svolge sulla nave “Galileo” (la “Nord America”, nella realtà), su cui De Amicis da buon cronista, effettua la traversata da Genova a Buenos Aires. Oltre ai 50 passeggeri della prima classe, ai 20 della seconda e ai 200 membri dell’equipaggio, il “Galileo” trasporta 1.600 emigranti italiani diretti in Argentina e che diventano i protagonisti del libro. Su di loro si posa l’interesse di De Amicis.

La partenza dal porto di Genova ripropone scene attuali, destinate oggi a popoli meno fortunati del nostro: “Delle povere donne che avevano un bambino da ciascuna mano, reggevano i loro grossi fagotti coi denti; delle vecchie contadine in zoccoli, alzando la gonnella per non inciampare nelle traversine del ponte, mostravano le gambe nude e stecchite; molti erano scalzi, e portavan le scarpe appese al collo” scrive l’autore.  

Uomo del Risorgimento, De Amicis cerca di ritrovare gli ideali della nazione appena unita in quel gruppo di uomini e donne in balia dell’oceano. Li vuole descrivere gloriosi, li trova invece indifferenti, disperati, una massa apatica dove impera la malattia (“A un tratto s’udiron delle grida furiose dall’ufficio dei passaporti e si vide accorrer gente. Si seppe poi che era un contadino, con la moglie e quattro figliuoli, che il medico aveva riconosciuti affetti di pellagra. Alle prime interrogazioni, il padre s’era rivelato matto, ed essendogli stato negato l’imbarco, aveva dato in ismanie”) e predomina l’ignoranza (nel 1881 la tassa di analfabetismo nel nostro paese era al 61%). Cosa significava essere italiani nel 1884? Poco o niente. De Amicis si scontra con questa desolante verità. Non c’era nulla che accomunasse l’emigrante con quella terra che, invece di dargli conforto, lo espelleva, lo costringeva ad accomodarsi altrove. Eppure, è qui che nasce il paradosso. È proprio il processo doloroso dell’emigrazione a fare sentire “italiano” per la prima volta quel popolo cencioso. L’esilio pesa come un macigno e la reazione contro il disprezzo degli altri fa nascere, abbattendo i regionalismi, l’orgoglio di essere italiano.

“Sull’oceano” diventa subito un best seller e vende dieci edizioni in due settimane. Poi, con il tempo, subentra l’oblio. A distanza di tanti anni, si consolida la rimozione del fenomeno emigrazione, di ciò che eravamo. Cancellato dalla coscienza nazionale perché, probabilmente, ricorda ciò che eravamo: un popolo povero, un popolo in movimento, deriso e spesso disprezzato. Il libro si può trovare in digitale qui:

https://www.liberliber.it/mediateca/libri/d/de_amicis/sull_oceano/pdf/de_amicis_sull_oceano.pdf

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