Compie cinquanta anni uno dei miti automobilistici degli anni Settanta, la Fiat 127. Tramontata l’epoca della 500, decretato l’insuccesso in termini di vendita dell’850, la Fiat era alla ricerca di un’utilitaria duttile e accessibile a tutti che ne prendesse il posto. A disegnarla è chiamato Pio Manzù, figlio del famoso scultore Giacomo e tra le nuove leve del design automobilistico. Alla Fiat non tutti sono d’accordo per la sua realizzazione. Non piace la linea, poi il dramma colpisce Manzù, che muore in un incidente stradale proprio mentre si recava a Torino per la presentazione del progetto definitivo dell’auto. Sembrava l’inizio di una leggenda nera e invece la 127 procede il suo iter e viene immessa sul mercato nell’aprile 1971. La parte meccanica (affidata a Dante Giacosa) è una piccola rivoluzione: motore anteriore (la 500 e la 850 lo avevano posteriore) e quindi anche la trazione cade sull’asse anteriore. La scommessa diventa un successo: nei primi tre anni si vendono tre milioni di esemplari e nel 1973 la 127 risulta l’auto più venduta in Europa.
Dura a morire, si rifà il look nel 1980 per affrontare il nuovo decennio e nemmeno l’apparizione della Uno, che diventerà un classico nella produzione Fiat, la scalzerà almeno nei primi anni. L’ultimo capitolo è quello della sua uscita di scena, nel settembre 1987, con più di cinque milioni di esemplari venduti.
Proprio una Fiat 127 è stata la
mia prima automobile. Noi eravamo della generazione che ereditava l’auto dai
genitori. Si cambiava auto in famiglia e, con i diciotto anni e fresca patente
in tasca, si affrontava il mondo con quelle utilitarie poco in salute, già
quasi vintage, che superavano i centomila chilometri di vita: Ford Escort,
Citroen Dyane, Opel Kadett erano le compagne della 127. A me toccò quella di
mio padre –che era passato alla 128-, un modello unico nella mia città, visto
che ostentava un improbabile color verde lago (secondo catalogo) e che mi
faceva riconoscibile a chilometri di distanza. La prima automobile è un po’
come la prima ragazza, a distanza di anni suscita le stesse pregiate emozioni.
Di lei si ricordano il primo viaggio serio (in termini di chilometri), il primo
appuntamento galante, il primo incidente (che fu, neanche a farlo apposta con
l’auto più sfigata della storia, la NSU Prinz verde). Erano auto quasi
indistruttibili in fatto di motore, che ti portavano dappertutto nel mondo
allora a noi concesso, che aveva quasi sempre le impegnative strade di montagna
della Val di Susa come meta obbligata. Erano meno solide in fatto di
carrozzeria (gelo e sale ne corrodevano la struttura) e regalavano quindi
spifferi di aria fredda nei rigidi inverni del Settentrione, folate improvvise
di scirocco in estate. La manutenzione, poi, era quasi ridotta a zero: c’erano
appena i soldi per la benzina, figurarsi per un intervento del meccanico. Però,
quelle auto compivano con il loro compito capitale, ossia la realizzazione dei
tuoi immediati sogni a buon mercato, che passava giocoforza per il trasporto
efficace e (quasi) sicuro in luoghi nuovi e ambiti. La radio, con la musicassetta creata ad hoc, forniva poi la colonna sonora perfetta.
La mia 127 capitolò in un pomeriggio primaverile, colpa di un disgraziato buco delle disastrate strade della mia città. Si ruppe l’asse anteriore e buonanotte. Con quell’inatteso colpo, ancora non lo sapevo, finiva anche l’adolescenza e si entrava nel mondo degli adulti.
La mia prima macchina è stata anche una Fiat 127!! Gialla, giallissima, la chiamavamo "Piolín".
RispondiEliminaUna bella storia hai raccontato!
Gina