lunedì 11 aprile 2022

Per una cultura di pace: l'esempio del Costa Rica

Il primo dicembre 1948 dovrebbe essere una data da ricordare su tutti i libri di storia. Una data da commemorare e da celebrare, ma che rimane sconosciuta ai più perché anomala in un contesto globale dove la guerra è di casa. È questa, infatti, la data in cui il Costa Rica rese effettiva la sua rinuncia all’esercito, diventando il primo paese demilitarizzato al mondo. L’articolo 12 della Costituzione proibisce l’esercito: Se proscribe el Ejército como institución permanente. Para la vigilancia y conservación del orden público, habrá las fuerzas de policía necesarias… Poche parole che, però, sono tra le più rivoluzionarie che siano state scritte lo scorso secolo: niente esercito, un’altra via è possibile.

Nel 1955, l’unico strappo alla regola: un’invasione dal Nicaragua da parte di forze ostili al governo con l’appoggio della dittatura somozista. I ticos se la cavarono da soli, organizzando la difesa e liberando quindi le città occupate dagli invasori, ricacciandoli oltre confine. Un ulteriore passo verso la smilitarizzazione è venuto nel 1984, con la Legge di Neutralità Perpetua. Proprio nel momento più cruento delle guerre centroamericane, il Costa Rica promulgava la neutralità, ribadendo la sua tradizione anti-militarista. Nel 1990 tocca a Panama sopprimere l’esercito. Da allora, la frontiera Costa Rica e Panama è l’unica frontiera demilitarizzata del mondo.

Non voglio un esercito di soldati, ma un esercito di maestri”: le parole di José Figueres Ferrer, il presidente che proibì l’esercito, risuonano come un monito oggi per chi continua a perseguire fini di distruzione camuffati da slogan pacifisti. L’armamento toglie soldi all’educazione, alla sanità, alla cultura, all’ambiente, alla società in generale, rendendoci più poveri e ammaestrandoci al nazionalismo e alla cultura di odio. L’Europa di oggi si è disamorata della cultura di pace e si trova in ostaggio della peggiore generazione che la politica possa aver prodotto. La parola pace è da lungo tempo travisata sui mezzi d’informazione, con lo scopo di abituarci al suo erroneo uso (pensiamo, per esempio, al termine “missione di pace”), le guerre vengono preparate con largo anticipo, i popoli sono povere pedine calpestate da interessi di pochi padroni.

L’assenza di un esercito ha molti nemici. Non conviene a nessuno. Il Costa Rica viene periodicamente additato da queste critiche. Gli attacchi sono trasversali e provengono sia da sinistra (tanto, in caso di invasione vi aiutano gli Usa) che da destra (per l’effettiva difesa dei confini, l’esercito deve essere ripristinato). Invece no. 74 anni di cultura pacifista si sentono e si respirano tra la gente. Ogni tico è orgoglioso di poter affermare di vivere in un posto che rasenta il paradiso, proprio perché i carri armati, i missili, i fanatici militaristi appartengono a un altro mondo: all’inferno, quello che si è costruito in Medio Oriente, in grandi regioni dell’Africa e che ora bussa alle porte dell’Europa.

Il Costa Rica ha l’opportunità di dire al mondo con autorità morale verità scomode però certe. Verità che parlano di come la spesa militare nel mondo, durante la pandemia, è aumentata”. Così si è espresso lo scorso primo dicembre, il presidente Carlos Alvarado, durante il protocollo della celebrazione dell’abolizione dell’esercito. In settanta anni, in termini economici il Costa Rica ha potuto investire nel benessere della propria gente, mantenendo una crescita del PIL attorno al 2,44% annuale, dato che, con spese militari, si sarebbe ridotto notevolmente. Gli investimenti sono stati diretti a tutti i settori che permettono a un popolo di essere civile: salute, educazione, energia pulita, riforestazione, cultura, solidarietà. Chiedete in giro. L’esercito qui non rappresenta nulla.

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