C’era una volta l’Inquisizione e non solo in Europa, ma anche nei centri nevralgici dell’America Latina come Lima, Cartagena e Città del Messico città dove l’11 giugno 1649 si tenne il più importante auto da fe del continente: 109 penitenti, di cui 13 giustiziati in piazza. Strumento di controllo religioso ed ideologico, l’Inquisizione venne soppressa solo nel 1834 dopo centinaia di processi, auto da fe e vite rovinate. Tra queste, quella di un singolare personaggio italiano, Stefano Corti, lombardo da Lomazzo.
Nato
nel 1753 e, rimasto presto orfano, Corti venne educato dallo zio sacerdote che
lo mandò poi in bottega a Milano a imparare un mestiere, quello dello speziale.
A Pavia, più tardi, si laurea in Medicina e poi, a 28 anni, si imbarca per
Barcellona. Qui, le cose non vanno tanto bene e per evitare guai seri ripara a
Madrid, dove ottiene la protezione di José Vásquez Téllez, nobile che viene
nominato governatore del Costa Rica. È il 1790 e Corti accetta la proposta di Vásquez
di seguirlo in America. Corti si adegua subito alla vita di quella che è, a
discapito del nome, la provincia spagnola più arretrata. All’epoca è un uomo di
37 anni e secondo la descrizione che ne fa più tardi il segretario
dell’Inquisizione messicana, Bernardo Ruíz de Molina, è un individuo più alto
della media, robusto, dai capelli rossi, il naso aquilino e gli occhi neri. Stefano
Corti a Cartago si trova bene. Ha cambiato il suo nome di battesimo per quello spagnolo
di Esteban, è il medico di fiducia del governatore e, grazie alla sua abilità, si
guadagna subito la stima dei notabili della città. Vive con una vedova e le sue
due figlie e già qui le malignità cominciano a correre: “doña Joaquina López del Corral tenía hijas de buen ver, núbiles y un
tanto fáciles” (citato dallo storico Manuel Valladares Rubio). Come dice il
detto: pueblo chico, infierno grande.
Gli speziali, i curanderos, i
barbieri a cui ha tolto il lavoro lo accusano di pratiche immorali. E anche i
mariti cornuti. Lo scrittore Joaquín Gutiérrez Mangel asserisce che le visite
di Corti alle ammalate aumentavano quando i loro mariti si assentavano per dare
la caccia agli indios o si recavano a controllare i loro affari nelle
piantagioni di cacao. “Se le lenzuola
parlassero” continua “la discendenza
di Corti riempirebbe pagine intere dell’Anagrafe del Costa Rica, a cominciare
da tutti coloro che portano il cognome Yglesias” (questo cognome veniva
dato ai trovatelli abbandonati nelle chiese). L’italiano pagherà cara la fama
di donnaiolo impenitente. Gli eccessi
che già lo avevano portato alla fuga da Barcellona (dove si era vantato di aver
preso la verginità di nove donzelle) si ripetono nel Nuovo Mondo.
I nemici fioccano e, data la protezione del governatore, i suoi detrattori si rivolgono alla Curia che in pochi mesi prepara un castello accusatorio tale da portarlo alla prigionia, al sequestro dei beni e al suo trasferimento a Città del Messico per essere processato dal Tribunale della Santa Inquisizione. In totale, dovranno essere discussi 24 delitti gravi tra cui: la lussuria, la blasfemia, il disprezzo dei sacramenti e il concubinaggio.
Cartago,
insomma, si libera del seduttore Corti che nel giugno 1794 intraprende il
lunghissimo viaggio via terra verso Città del Messico. Lo fa sempre scortato,
trascorrendo mesi nelle prigioni delle varie province centroamericane, offrendo
a chi ne ha bisogno la sua arte medica e lasciando ovunque un ricordo
favorevole. Arriva in Messico dopo tremila chilometri a dorso di mulo e un anno
esatto dopo la sua partenza. Qui si fa sette mesi di prigione prima di essere
portato davanti al tribunale. Nel frattempo, ha sempre mantenuto un’attitudine
mansueta: prega, legge la Bibbia, cura gli ammalati, non fa nessun accenno ad
avventure amorose. I frati messicani, però, non si fanno turlupinare.
L’accusano di essere un seguace di Rousseau e di Voltaire e aumentano i capi
d’accusa da ventiquattro a ottantotto. Corti si dice malato: ha l’artrite, il
mal di fegato, è inappetente. Per un po’ riesce a farla franca, poi viene
portato davanti ai giudici e non sfugge al verdetto. Gli si chiede di abiurare
e Corti in abito da inquisito (scapolare, corda da impiccato al collo, morsetto
alla bocca) lo fa immediatamente. In questa maniera salva la vita, ma deve
sottostare alla condanna, che prevede l’espatrio verso le colonie africane,
dove dovrà trascorrere i seguenti otto anni. In attesa di una nave che lo porti
a destinazione, Corti viene ospitato dai Padri Carmelitani a Puebla. Qui, manco
a dirlo, acquista di nuovo una grande popolarità, curando e guarendo un gran
numero di pazienti. Al convento, ci va solo a dormire e, per il resto, ritorna
alle gesta di sempre. L’Inquisizione, ovviamente, non ci sta e pretende dal
viceré Azanza che si compiano gli ordini. Nel marzo 1797 Corti si imbarca su
una nave da guerra a Veracruz ma ancora una volta il destino ci mette la mano. Il
galeone deve partecipare a manovre belliche e lo lascia all’Avana, dove diviene
medico di fiducia del giudice Luis Viguri, l’incaricato di stabilire arrivi e
partenze dall’isola. Viguri, nonostante le ingiunzioni civili e religiose
insiste che Corti non può lasciare Cuba per via delle sue condizioni di salute.
L’italiano è malato di gotta, febbricitante ogni qualvolta che un vascello con
destinazione Cadice giunge in porto. Il tira e molla dura cinque anni. Nel
novembre 1802 giunge l’ingiunzione reale: Corti deve essere messo sulla prima
nave e portato in Spagna dove sconterà la sua condanna e verrà scortato in
Africa. Il 27 di quel mese le guardie lo vanno a prendere ma non lo trovano. Lo
cercano per tutta Cuba, ma l’italiano è come se si fosse volatilizzato.
Qualcuno dice di averlo incontrato alle Bahamas, sempre dedito cura dei malati,
mentre lo storico costaricano Ricardo Fernández Guardia asserisce che sia morto
a Filadelfia, nel 1825. Niente di più probabile che, di fronte all’ipocrisia e
al puritanesimo della società coloniale spagnola, Corti abbia cercato di finire
i suoi giorni sotto falso nome in un contesto dove poteva esercitare la
medicina in santa pace.
Sul tema dell’Inquisizione in
America Latina, consiglio la lettura di “La gesta del marrano” del cileno Marcos
Aguinis.

