lunedì 4 gennaio 2021

Quando gli italiani inventarono lo sciopero

Italiani, gente che emigra. Se ne andarono a milioni nella seconda metà dell’Ottocento, in cerca di fortuna e di opportunità, in grande maggioranza nell’agognata “Merica”, la terra delle grandi occasioni. La manodopera italiana arrivò un poco ovunque, perfino negli angoli più remoti del continente per realizzare grandi opere (alla costruzione del Canale di Panama vi lavorarono 4000 Italiani) o semplicemente per cercare fortuna. Due contingenti di italiani giunsero in Costa Rica in due riprese (nel novembre 1887 e nel maggio 1888) per costruire la parte mancante della ferrovia dell’Atlantico, che deve unire la capitale San José al porto di Limón. Il committente è Minor Keith, un imprenditore statunitense a cui il governo tico ha consegnato il compito di costruire la ferrovia. Il primo tratto, quello più semplice, è già stato completato. La manodopera era stata affidata a un gruppo di lavoratori provenienti da Curacao e da un altro, più numeroso, di cinesi. Si lavora nella giungla, in condizioni estreme. Cinesi e antillani, in semischiavitù, non hanno il diritto di lamentarsi. Gli italiani, invece, sconvolgeranno il sistema. Provenienti in maggioranza dalle campagne mantovane, e in minor numero dalla provincia di Rovigo, sono in 1310. Subito, si rendono conto di essere stati buggerati. Il clima risulta intollerabile, la geografia impietosa, le condizioni di lavoro pessime.


Negli accampamenti mancano i servizi medici, le giornate lavorative sono interminabili, il salario è ridotto al minimo, il rancio scarso. Il pane viene consegnato a giorni alterni ed è sempre rancido. Gli incidenti e le malattie fanno una settantina di vittime mortali nel breve periodo che va da giugno a ottobre. Proprio a giugno cominciano le proteste, ma ogni rivendicazione cade nel vuoto. Continuano le umiliazioni e le tragedie.

Il 20 ottobre 1888 la misura è colma. Da tre mesi gli italiani non ricevono lo stipendio. Denunciano, inoltre, di aver un solo medico a disposizione nei nove accampamenti dell’azienda, sparsi in un raggio di trenta chilometri. Nel più lontano, immerso nella giungla, la percentuale degli ammalati è del 78%. Languono in branda senza assistenza medica, preda delle febbre gialla. L’unica soluzione è lo sciopero. È la prima volta in Costa Rica, probabilmente in tutto il Centroamerica, regione dove i potenti –oligarchi, terratenenti, caudillos- sono abituati a fare il bello e il cattivo tempo. Abbandonano il posto di lavoro e dalla giungla, in una marcia di 50 chilometri, marcata dagli stenti e dai pericoli (durante la peripezia muoiono in sei) raggiungono la città di Cartago. Da lì, rifocillatisi, si presentano nella capitale dove il governo li minaccia: o vi trovate un lavoro (era proibito il vagabondaggio) o vi sbattiamo in prigione. Minor Keith è ancor più sprezzante: “Non vi pagherò una lira e non vi darò da mangiare finché non tornerete al lavoro” minaccia. Il contratto però parla chiaro: l’imprenditore è obbligato a dare assistenza medica, a compiere con il pagamento del salario e a garantire i pasti. In caso contrario, i lavoratori possono chiedere il rimpatrio a spese dell’azienda.

Il 15 novembre gli italiani si scontrano con la polizia e in ventidue (i delegati dello sciopero) terminano in cella. Sembra che la situazione sia irreversibile. Il governo non può cedere, sarebbe come dimostrare la propria debolezza di fronte a un gruppo di facinorosi: è importante mantenere la pax sociale ed evitare che lo sciopero si estenda. Piuttosto, essendo alla ricerca di manodopera, invita gli operai a riprendere il lavoro e, come premio, riceveranno la nazionalità e la promessa di farsi raggiungere dalle famiglie. La risposta è no.


Si instaura così un tavolo di negoziati a cui partecipano il console italiano, l’azienda e il governo. Ma a limare le differenze ci pensano gli abitanti di San José e Cartago, che offrono agli italiani un lavoro, almeno fino a quando la situazione non verrà risolta. Governo e azienda si impegnano a questo punto di organizzare il viaggio di ritorno degli italiani. Il 16 marzo 1889 si imbarcano sul vapore francese “De Lesseps” in 847 non prima di aver ringraziato sulla stampa l’aiuto offerto dai semplici cittadini che avevano messo a disposizione le loro case e i loro negozi per aiutarli.

Alcune centinaia di emigranti decideranno comunque di rimanere in Costa Rica, creando di fatto la comunità italiana che ancora oggi ha un ruolo importante nella società locale. Intanto, continua su https://sullerotaiedeitutiles.com/ la raccolta di materiale per poter ampliare l’informazione sull’intera esperienza dei 1310 italiani nella costruzione del Ferrocarril al Atlántico. Ad allestirlo sono Lorenzo Pirovano e Rossella Rocchino, che hanno già prodotto un documentario su questo tema (“Sulle rotaie dei tútiles”).

2 commenti:

  1. Scritto benissimo e come sempre, negli articoli di Maurizio Campisi si respira verità

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  2. Muchas gracias, porque hay muchísima historia que es desconocida por la mayoría de los costarricenses y debe comunicarse. Solamente se conoce el mínimo y no se valora la historia real.

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