martedì 20 aprile 2021

L'insostenibile presenza del reggaetón

Sono trentanni che viviamo in ostaggio del reggaetón. Tanto tempo è passato da quando nei locali di Portorico un consapevole quanto increscioso esperimento mischiava hip hop, atmosfere latine e reggae per dare vita al genere. Una specie di pizza con l’ananas, insomma, tanto per calarci in un paragone legato alla nostra cultura. A trentanni si dovrebbe diventare grandi, crescere, evolvere. Però...

El reggaetón no es música”. Il giudizio, lapidario ed autorevole, è di Pablo Milanés, il cantautore fondatore della Nueva Trova cubana, un’opinione condivisa da tanti. Eppure, lo si può ascoltare ovunque: nei supermercati, alla radio, nelle feste, in televisione, una sorta di inarrestabile valanga, espressione di un modello culturale che ha come scopo l’imposizione del nulla.

Bad Bunny: 46 milioni; J Balvin: 54 milioni; Maluma: 32 milioni; Daddy Yankee: 39 milioni; Farruk: 30 milioni. I numeri di ascolti mensili sulla piattaforma Spotify sono eloquenti. Il reggaetón è diversione e diversivo allo stesso tempo, un divertimento ed una deviazione, la colonna sonora per chi non ha necessità di rispetto personale. Musicalmente è la personificazione del banale, l’esposizione dell’abulia compositiva. Devia e atrofizza il concetto di musica, rendendolo soggetto allo schema di chi di musica non capisce nulla, riducendo l’espressione artistica a un gioco di accoppiamento di note realizzato da macchine. Banalizza, insomma, la trascendenza della musica, ridicolizza la relazione tra il musicista e il suo strumento, induce alla tabula rasa con la tradizione, sia classica che popolare. Per questo non è inoffensivo, come non è inoffensivo nel suo tessuto lirico, una pletora di banalità dove risaltano i valori della povertà intellettuale: la mercificazione della donna, il sessismo, l’adorazione al dio denaro, la superficialità, l’ignoranza. 

Lamentarsi, però, serve a poco. Il reggaetón, nel 2019, ha generato sulle piattaforme digitali più di tremila milioni di dollari in ricavi, coprendo quasi il 35% del settore. Arraffa a piene mani il gusto del pubblico latino intaccando la supremazia “gringa” in fatto di scelte musicali, al punto da obbligare gli artisti statunitensi a confrontarsi con la contaminazione reggaetón. Insomma, è un’industria ben oliata che gioca sull’identità latina e su qualche antivalore ben definito per portare a casa tanti dollaroni. Con i suoi trentanni è diventato adulto? No, ma ha capito benissimo come fare i soldi.

1 commento:

  1. Vita facile. Non pensare troppo. Ma solo scorrere alla fine non è abbastanza. Per il momento, reggaetón per alcuni.

    RispondiElimina

Le città italiane, luna park del turismo

Il comune di Venezia ha annunciato che, a partire da aprile fino a luglio, in certe date stabilite –ventinove in tutto- sarà necessario paga...