Il 25 settembre 1493, Cristoforo Colombo salpa dal porto di Cadice per la sua seconda spedizione verso le Indie Occidentali. La flotta, questa volta, è poderosa: 17 navi, 1500 uomini e, a differenza del primo viaggio esplorativo, c’è un nutrito drappello di religiosi e militari. Colombo, forse per non sentirsi troppo isolato, porta con sè il fratello Giacomo, il figlio Diego e l’amico Michele Da Cuneo, mercante savonese, appartenente a una delle famiglie più influenti di questa città.
Michele da Cuneo (se si esclude Colombo) è il terzo italiano a imbarcarsi per le Indie. Nella prima spedizione dell’anno anteriore erano presenti altri due italiani: il genovese Giacomo Ricco (Jacome Rico) e un tale Antonio Calabrese, marinaio il cui cognome indicava la provenienza calabra. Di quest’ultimo non si sa quasi nulla, mentre del genovese è noto il triste destino. Ucciso da due compagni per futili motivi, Rico detiene il poco invidiabile primato di essere il primo cristiano a morire nel nuovo continente. Michele Da Cuneo tocca terre americane nei primi giorni del novembre 1493, quando la spedizione giunge alle Antille Minori. Colombo, in segno di amicizia, battezza con il nome di Bella Saonese, l’isola che ancora oggi conosciamo come Saona, sulla punta orientale dell’attuale Repubblica Dominicana.
Uno sguardo al Nuovo Mondo. Da Cuneo viene citato come una delle fonti più autorevoli per definire l’origine di Colombo (“poi che Genoa è Genoa, non è nato uno homo tanto magnanimo et acuto del facto del navicare como il dicto signor armirante” sostiene) e viene ricordato soprattutto per la “Lettera a Gerolamo Annari” (Aimari), diario del suo viaggio americano, che supplisce alla mancanza di qualsiasi testimonianza scritta di Colombo a proposito della seconda spedizione. La relazione del mercante è importante perché è una descrizione disincantata, spesso cinica, che non deve convincere nessuno. È un reportage rinascimentale, insomma, e come tale è permeato da tutti i pregiudizi dell’epoca. Da Cuneo non si lascia abbagliare dal mito del buon selvaggio o dai fiumi d’oro di cui si dice sia ricca la nuova terra. Per il savonese, gli indigeni non sono altro che merce, individui che non sanno “se fanno male o bene” e che, pertanto, si abbandonano a ogni sorta di bestialità: l’amore libero, la sodomia e il cannibalismo. Imbarcati per trasportarli in Europa, muoiono a decine e i cadaveri vengono gettati a mare: non sono uomini atti alla fatica, temono il freddo e hanno vita corta. Un affare poco redditizio, insomma. In quanto alla società indigena, il mercante ha il tempo di annotare: “Le femine sono quelle che fanno tutto; li òmini solo attendeno a pescare e a mangiare”.
Colombo, a un certo punto, gli regala “una Camballa belissima”, una cannibale, della quale il savonese approfitta sessualmente. Senza peli sulla lingua, racconta la sua “conquista”: l’indigena non ne vuole sapere di giacere con lui, è una furia e si difende con le unghie. Da Cuneo, allora, prima la fustiga e poi la stupra, restandone pienamente soddisfatto: “nel facto parea amaestrata a la scola de bagasse” scrive.
È intrigato dai cannibali, i veri dominatori di quei luoghi. Le comunità pacifiche sono sempre in pericolo a causa degli antropofagi che compiono razzie, distruggono i villaggi e divorano le persone (con predilezione per gli uomini, più saporiti). Hanno grandi archi, che ornano con piume di pappagalli. Sono forti rematori e guerrieri temibili anche per gli europei.
Quello descritto da Da Cuneo non è il paradiso e non è neanche l’eldorado: gli spagnoli sono ossessionati dall’oro che non trovano, l’entusiasmo suscitato dal viaggio scema con il passare del tempo e con il ritrovamente dei cadaveri dei 39 compagni lasciati in avanscoperta l’anno anteriore. Da Cuneo descrive gli spagnoli in maniera dispettiva: “mentre Spagna sarà Spagna, non mancheranno traditori” annota, parteggiando ovviamente per il connazionale Colombo, ostile a gran parte della spedizione.
Non c’è incontro, ma scontro e allora Da Cuneo si concentra alla parte che più gli interessa dell’avventura: la descrizione naturalistica. È il primo occidentale a descrivere il mais (“non è tropo bono per noi”) e a spiegare come si produce il pane dalla manioca. Allo stesso modo, dà notizie della fauna e della flora tentando di classificare la natura del tropico. Notizie, queste, che Da Cuneo offre non per dovere scientifico, ma per affanno mercantile, con il senso del capitalista che cerca di dare un valore commerciale a quanto sta vedendo per la prima volta.
Con il suo estremo realismo, Da Cuneo descrive le Indie dalla posizione di potere del nuovo arrivato. Pur senza partecipare al successivo saccheggio, il savonese sa già come andrà a finire: gli indigeni sono pari agli animali, la brama per l’oro rovinerà vite e coscienze, il nuovo mondo è territorio da razziare. C’è poco da aggiungere sulla natura umana.
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