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venerdì 6 novembre 2020

Libri a teatro: è a Buenos Aires la più singolare libreria del mondo

 


Qual è la più bella libreria in America Latina? Il National Geographic non ha dubbi, The Guardian e lo spagnolo ABC nemmeno e tutti citano l’Ateneo Grand Splendid di Buenos Aires. A cosa si deve tanta sintonia? Al fatto che la libreria è ospitata all’interno di un antico teatro. Dove opera lirica, drammaturgia, tango hanno amenizzato le notti dei capitalini per decenni, oggi si leggono libri, si beve caffè e si conversa a sottovoce cercando un titolo da comprare e portare a casa. Il Grand Splendid, questo il nome del teatro, aprì i battenti nel 1919 nel quartiere della Recoleta –al civico Santa Fe 1860- ed ebbe subito un protagonista d’eccezione, Carlos Gardel. Qui, l’inventore del tango registrò vari pezzi, ma la sala d’incisione, pur esistendo ancora, è oggi chiusa al pubblico. Costruito con quattro file di palchi e con una capacità di 500 persone, il teatro ospitò presto nei suoi spazi una radioemittente (Radio Splendid) e quindi la sala di registrazione per conto della Nacional Odeón. Nel 1929, Gardel fece la sua prima trasmissione radiofonica cantando e suonando i suoi tanghi per il pubblico argentino. Il teatro divenne un pezzo di storia di Buenos Aires, resistendo al passo dei tempi fino all’avvento del nuovo millennio. 

La trasformazione a libreria, voluta dal gruppo Ilhsa, avviene nel 2000 con una ristrutturazione mirata che ha mantenuto intatta la bellezza e l’origine del luogo. Arte, letteratura, teatro si sovrappongono oggi nella maestosità della cupola (dipinta dal marchigiano Nazareno Orlandi), nella struttura dell’ordine dei palchi, nella successione dei volumi che regalano al visitatore un’esperienza incredibile. Perfino il palco è stato mantenuto intatto e serve come sala di lettura, frequentatissima. Anche i numeri della libreria servono per dare un’idea della sua particolarità: 120.000 copie di libri alla vista dislocati su tre piani su una superficie totale di 2000 metri quadrati.

mercoledì 14 ottobre 2020

Letteratura del contagio: Glenn Cooper e Robert Harris

Virus, apocalissi, pestilenze, umanità imbruttita e decimata. I titoli 2020 in letteratura sembrano convergere sulle paure comuni amplificate dall’annus horribilis che ci stiamo accingendo a terminare. Due autori di punta, Glenn Cooper e Robert Harris, sono arrivati con perfetto tempismo in libreria a ricordarci che, per dirla alla Troisi, “dobbiamo morire”. Lo fanno in maniera differente, il primo con “Tabula Rasa” dove una pandemia provocata dall’insensatezza umana mette a rischio la sopravvivenza della specie. Il virus, che attacca le cellule cerebrali, riduce gli individui a dei manichini, che rispondono solo agli istinti primordiali. Per fortuna, perché comunque in molta letteratura nordamericana mainstream la speranza è un must, c’è chi è immune al virus e che farà di tutto per salvare l’umanità (Jamie Abbott, medico sperimentatore in grado di sviluppare il vaccino). Cooper scrive per il lettore, con molto mestiere. Dispone di ritmo e grande capacità descrittiva, sacrifica a sorpresa alcuni protagonisti e giunge a un epilogo che è una sorta di compromesso tra la necessità di un happy ending e le finalità personali di chi scrive.

Veniamo ad Harris e a “Il sonno del mattino”. Ottocento anni dopo l’Apocalisse, l’umanità vive un nuovo Medio Evo e si è organizzata (in Inghilterra, dove è ambientata la storia) attorno a una monarchia fortemente condizionata da una potente chiesa cristiana dogmatica e totalitaria. Christopher Fairfax, giovane sacerdote, viene inviato dal vescovo di Exeter a eseguire le esequie di un parroco di campagna. Nella piccola comunità di Addicott St. George il prevosto viene a conoscenza di alcuni documenti appartenuti agli Antiquari, una società segreta che si dedica a riscoprire la tecnologia degli Antichi (cioè la nostra civiltà), messa al bando dal bigotto e potente clero. Scienza contro religione, conoscenza contro ignoranza e perché no, la barbarie opposta alla civiltà, Harris si inoltra nel terreno del millenario conflitto tra la fede e la ragione. L’Apocalisse, avvenuta nel 2025, anno che poi viene cancellato e sostituito da quello profetico del 666, funziona da spartiacque per il proseguimento della civiltà e per le colonne che la sostengono.

Non tiriamo in ballo “Fatherland” o “La spia e l’ufficiale”, che rimangono le vette della scrittura di Harris. “Il sonno del mattino” è un discorso a parte. Lento nell’evolversi degli avvenimenti, in bilico tra thriller e giallo psicologico, si propone di scavare nell’animo umano, nel riproporsi di certe fruste situazioni che raccontano quelle che sono le nostre miserie. Il nodo è: ottocento anni dopo l’Apocalisse, l’umanità avrà imparato la lezione? La risposta data da Harris è un punto di vista categorico che, naturalmente, viene rivelato nelle ultime pagine del romanzo.  

Letture: Robert Harris, “Il sonno del mattino”, (Mondadori, 2019). Titolo originale: The Second Sleep. Glenn Cooper, “Tabula rasa”, (Nord, 2020). Titolo originale: Clean.

In musica: “Second Coming”, The Stranglers, 1981.


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