giovedì 24 settembre 2020

Rolling Stone (la rivista): la musica è l'anima del commercio

 


Quando leggo la rivista Rolling Stone (poco, pochissimo in realtà) mi vengono sempre i sudori freddi. Figurarsi poi quando decide, come nei giorni scorsi, di aggiornare la classifica che vuole essere una Bibbia per i fruitori della musica popolare contemporanea: The 500 Greatest Albums of All Time. In epoca di movimenti da tabula rasa, che distruggono monumenti, che distorcono la realtà, che vogliono riscrivere la Storia senza domandarsi nulla, una buona rasoiata la riceve anche la musica. Già l’idea di una classifica è perversa, redigerla diventa poi satanico.

Scorriamo e impallidiamo. Perdono posizioni i mostri sacri del rock, sono scomparsi i master of blues (Muddy Waters langue al posto 483), Beatles e Rolling Stones vengono maltrattati, jazz a spicchi (pochi, John Coltrane nella posizione 66 con “A Love Supreme”, un poco più in giù Miles Davis), metal e progressive languono, Pink Floyd ed Hendrix sono ridicolizzati. Si è fatto spazio, a gomiti aperti, a rap, hip hop, al pop insulso (Shakira, Lady Gaga, Beyonce, facciamo nomi) e alla triste musica del nostro millennio. Certo, io guardo la classifica da cinquantenne morbido, ma che si sforza comunque di trovare in ogni musica una propria bellezza, un valore intrinseco, comunicazione e furore sacro. Mi faccio trasportare dalle mie personali preferenze e da una certa soggettività, ma anche così cerco di dare spazio a ciò che non appartiene al mio vissuto. Eppure, pur con tutto lo sforzo, non riesco a capire come Kanye West possa essere considerato (con 7 album in classifica) letale più di Bowie o degli Zeppelin. 

Rolling Stone si muove seguendo il termine “influente”, ma la lettura che ne viene fuori di questa classifica è di un’operazione commerciale dove devono entrare, comunque, tutti i generi senza importare il reale valore artistico, il momento storico, l’impatto sulle masse. Mi chiedo in cosa possano aver influito Shakira o Daddy Yankee (sì, c’è anche lui), se non a una vertiginosa mercificazione di suoni voluti da un’industria il cui compito è quello di livellarci alla mediocrità. Il messaggio mi pare chiaro. È venuto il momento di riscrivere la storiografia della nostra musica e molti monumenti saranno abbattuti. Più passa il tempo e tutto sarà dimenticato, anche di essere stati felici, un giorno, con la musica.

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