lunedì 13 settembre 2021

Gli ultimi giorni di Dante

Nella notte tra il 13 e il 14 settembre di settecento anni fa, moriva a Ravenna Dante Alighieri. La storia è più o meno risaputa. Dante, reduce da un’ambasciata a Venezia, contrasse la malaria nelle malsane paludi di Comacchio e tornò moribondo. Questa versione, la più accreditata, è quella che seguiremo, anche se rimangono ancora tanti punti interrogativi sugli ultimi giorni del poeta. Uno studio sui resti di Dante servirebbe a definire i molti quesiti ancora senza risposta come, per esempio, se sia morto davvero di malaria come finora si è suggerito. 

Cosa ci andò a fare il poeta a Venezia? A Ravenna, sotto la protezione del signore Guido Novello da Polenta, stava bene. Aveva finalmente trovato un mecenate che lo vezzeggiava e l’ambiente ideale per svolgere l’attività letteraria. A smuoverlo dal suo buen retiro fu un conflitto, l’ennesimo in quell’epoca tribolata, che opponeva il suo signore alla Repubblica di Venezia. Al centro della questione, il controllo delle saline di Cervia che già all’epoca dispensavano importanti quantità di sale. Gli attriti tra Venezia e Ravenna erano di lunga data e, dopo l’ennesima minaccia della Serenissima di muovere guerra, Guido Novello decise di affidare l’ambasciata per promuovere la pace all’esperto Dante Alighieri.

Il sommo poeta accettò, ma pensiamo non fosse molto contento di tornare a Venezia dove era stato alcuni anni prima. Dante, in quell’occasione, si era offeso per la maniera in cui era stato trattato dal Senato veneziano, che l’aveva costretto ad interrompere il suo discorso in latino perché nessuno comprendeva quella lingua. A nulla erano valsi gli sforzi di passare al toscano e per continuare e farsi capire, aveva dunque dovuto fare uso di un traduttore. Dante s’incavolò di brutto e considerò di essere stato trattato in modo villano, lasciandosi andare a una delle sue solite invettive, questa volta sulle origini poco nobili dei veneziani.

Nell’agosto 1321 le cose si erano di nuovo messe male per i ravennati. Guido Novello lo pregò di recarsi a Venezia a promuovere la pace e, seppur riluttante, Dante accettò. Aveva all’epoca 56 anni, non proprio un ragazzino soprattutto per i canoni dell’epoca. La sua ambasciata andò male. Dante ricevette un altro sgarbo dai veneziani e, dopo aver atteso invano, non riuscì a conferire con il governo della Repubblica. Inoltre, gli venne proibito di tornare a Ravenna via mare. Si dispose così a un difficile viaggio di ritorno di tre giorni: il primo in barca, necessario per giungere fino a Chioggia; il secondo per raggiungere Pomposa e riposarsi dai benedettini della celebre abbazia e quindi il terzo per arrivare a Ravenna. In mezzo, c’erano le pericolose valli di Comacchio, non solo per i banditi che vi si nascondevano, ma per le zanzare che infestavano le paludi. Detto, fatto. Dante si ammalò di malaria e giunto in città si abbattè sul letto che non avrebbe più lasciato da vivo.

Attorno a lui, ci furono i familiari finalmente riuniti: i figli Pietro e Jacopo, la figlia Antonia e, probabilmente, anche Gemma Donati, la moglie mai citata. Risulta incredibile che solo al momento dell’agonia e quindi della morte, Dante abbia potuto trovare un poco di pace dopo tanto fuggire. Il funerale si tenne nella chiesa di San Pietro Maggiore (oggi dedicata a San Francesco) e il poeta venne tumulato nel cimitero adiacente.

A quel punto, rimaneva un grande cruccio da risolvere. Tra le carte del maestro, mancavano gli ultimi canti del Paradiso. I figli erano sicuri che il padre li avesse terminati, ma nonostante la ricerca non venivano trovati. A risolvere la faccenda intervenne lo stesso Dante. Secondo il figlio Jacopo sarebbe stato proprio il padre, che gli era apparso in sogno, a indicargli dove cercare. Erano incassati dietro una finestretta tenuta nascosta da un tendaggio, già quasi corrosi dalla muffa come racconta Boccaccio nel suo “Trattatello in laude di Dante”: “tutte per l’umidità del muro muffate e vicine al corrompersi”. Dante era morto, ma la storia della “Commedia” era appena iniziata.

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