martedì 7 dicembre 2021

La perversa inclusione dello schwa

Una lingua deve assoggettarsi alle aspirazioni individuali o di categoria? Da quanto ne so, la lingua è un bene comune, appartiene a tutti e non è a disposizione di un singolo gruppo. La volontà di introdurre il simbolo ə (lo schwa, come si ostinano a chiamarlo i suoi sostenitori, lo scevà se vogliamo parlare italiano) risponde, secondo i suoi simpatizzanti, alla necessità di fare dell'italiano una lingua inclusiva. La ragione? Evitare il predominio del genere maschile. 

Questa forzatura pensata a tavolino (nell'italiano c'è tutto, basta sforzarsi a usarlo) ha poco da spartire con le esigenze della lingua. Parte dalla premessa di una sofferenza (quella vissuta da certe categorie di persone) per imporsi come modello politico. Ma la lingua viene decisa dai parlanti -tutti noi che generiamo l'italiano standard- e non da un gruppo di persone. L'operazione puzza. Intanto, lo scevà non è un grafema della lingua italiana (deriva dall'ebraico) e non corrisponde a un suono dal valore distintivo. 

Su MicroMega ci ricorda Cecilia Robustelli, che insegna Linguistica all'Univeristà di Modena: "la desinenza maschile e quella femminile ci dicono soltanto che il riferimento è a una persona di sesso maschile o femminile, e non danno alcuna indicazione sulla sua identità di genere". Allora, perché insistere su questo simbolo? A prendersela con l'italiano è stata qualche mese fa Michela Murgia, che di mestiere fa la scrittrice e che, di conseguenza, i suoi libri oltre a scriverli deve anche venderli. In occasione del suo ultimo lavoro è stata lei a dare visibilità allo schwa con un articolo sull'Espresso ricco di espressioni come nessunə, tuttə, convintə e così via. L'artificio è valso i complimenti del solito pubblico belante entusiasta delle novità inclusive, che purtroppo brilla spesso per superficialità. L'equivoco creato dalla Murgia sullo schwa è pretestuoso e merita la critica: genere e sesso, infatti, non sono la stessa cosa nemmeno in grammatica.

Le mode, però, piacciono. Pensate allo strapotere dell'inglese nel nostro parlato o a come ci piace vantarci di sentimenti probi. Sono le crociate del nostro tempo, che hanno nell'intellighenzia radical statunitense il modello a seguire. Anche in Europa si vuole imporre la modalità "woke" a ogni campo e a ogni costo e la lingua non viene certo risparmiata. Si dimostra come, invece di inclusione, si stia dando libero sfogo a una volontà settaria di distruggere i valori di un'intera civiltà. Si smantella la lingua per abbattere la società (prendete, per esempio, l'introduzione del pronome "iel" nel francese), si fraintende la storia a proposito rivoluzionando i nostri punti di riferimento. La lingua, in fondo, non è solo un mezzo di comunicazione, ma contiene i valori essenziali di una cultura. Sovvertendoli, si perde la propria identità.

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