lunedì 23 settembre 2024

La Madonna di Citerna: a tu per tu con l'opera d'arte

Non c’è nessuno alle tre del pomeriggio a Citerna. Forse è il caldo, forse è l’ora che invita a rinchiudersi nell’ombra delle case. Dal convento di Santa Elisabetta fa capolino una suora africana: “Ma non c’è nessuno?” chiedo e lei risponde di no, è un’ora scomoda. In fondo, siamo ad agosto. Citerna si trova nell’Alto Tevere, nella provincia di Perugia, Umbria. Di fronte c’è Monterchi, provincia di Arezzo, Toscana. La linea tra le due regioni è sospesa nell’aria, non si vede ma c’è e si sente soprattutto negli accenti di chi abita nei due paesi. Una manciata di personaggi hanno innalzato il borgo a incrocio di storia e storie: il Pomarancio, Vincenzo Vitelli, San Francesco che qui fece due miracoli, Giuseppe Garibaldi con la morente Anita. E poi Donatello, del quale non si sa se effettivamente sia arrivato fin quassù, ma di cui esiste una Madonna gelosamente custodita dai paesani.

La chiesa è quella di San Francesco, nella via principale, che servì da ospedale nel 1849 ai repubblicani romani in fuga con Garibaldi. Alle pareti un Ciburri, il Pomarancio, Raffaelino del Colle e, in un affresco, due angeli attribuiti a Luca Signorelli. I patrioti si curarono dalle ferite degli austriaci -o perirono- sotto lo sguardo pietoso di arcangeli, santi e madonne. Quella di Donatello è in una cappella chiusa a chiave, con quelle chiavi ottocentesche, dalle dimensioni da cancello del paradiso. Riposa a parte, la signora del luogo, perché non è a disposizione del pubblico non pagante e, inoltre, ha bisogno di un deumidificatore e di stare in pace.

Dopo tanti musei, l’incontro personale con l’opera d’arte pone nella giusta dimensione l’esperienza del fruitore. Diventa finalmente personale, intima. Lontani dall’affollamento che si trova nei musei, con la sovraesposizione ai capolavori, un tanto al metro quadrato, i telefonini che scattano a raffica, i selfie da decerebrati, la lassa ignoranza che regna sovrana, l’opera finalmente è un metro da te e parla. Nel silenzio e, soprattutto, nel contesto dell’ambiente originale, ci si arriva persino a immaginare l’autore che rifinisce i dettagli, che plasma le forme e i colori. L’esperienza è da provare.

La Madonna di Citerna è una scultura in terracotta alta un metro e quattordici centimetri e proprio queste dimensioni fanno pensare che Donatello, allora giovane scultore, avesse ricevuto la commissione da una famiglia nobile. Forse i Tarlati, che a Citerna hanno governato a lungo, forse i Vitelli, legati a questo feudo. La figura delicata della Vergine sostiene il Bambino dallo sguardo serio, proiettato verso il futuro che l’attende. È un’opera pregevole che a un certo punto non si sa come e quando, appare nella chiesa di San Francesco. Un parroco solerte ma a digiuno di nozioni artistiche ci mette mano e la fa ricoprire maldestramente di nuovi colori. Forse, proprio questa mimetizzazione la rendono di poco interesse, una delle tante opere che vengono depositate a riposare nelle nostre chiese. Solo nel 2001 l’occhio attento di una ricercatrice, Laura Ciferri, riconosce nella statua la mano di Donatello. Dopo sette anni di restauro presso l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze la Madonna torna nel suo stato originale e viene riportata a Citerna. Una decisione saggia, che evita una volta tanto l’emorragia delle opere d’arte locali verso i grandi musei. L’opera che rimane nel suo ambiente, circoscritta al paese dove appartiene, è un oggetto parlante, è una testimonianza storica e non decontestualizzata nel composito contenitore del bacino museale. Smette di essere un oggetto inanimato, vive e respira, esalta le nostre emozioni.

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lunedì 16 settembre 2024

Salieri e Mozart: una bufala che dura da due secoli

Ricorrono in questi giorni i quaranta anni dalla presentazione nelle sale cinematografiche dell’”Amadeus” di Milos Forman. Grande mistificazione, esercizio riuscito d’intrattenimento, il film oltre a vincere ben otto premi Oscar, rinvigorì la leggenda dell’avvelenamento di Mozart da parte di un astioso e invidioso Antonio Salieri. Niente di più lontano dalla verità, ma intanto Salieri da quel fatale 1984 si è guadagnato l’immeritata infamia di aver soppresso per sempre la voce del musicista più geniale del suo tempo.

Veneto di Legnago, eccellente compositore, Salieri dovette convivere con il talento di Mozart e subirne le glorie e il fascino senza, però, patirne più di tanto. Direttore del Teatro dell’Opera di Vienna a 19 anni, compositore della corte asburgica a 24, con alunni del calibro di Beethoven, Czerny, Schubert e Liszt, scelto dal neonato Teatro alla Scala di Milano per la prima rappresentazione in assoluto, Salieri godeva della massima stima dell’imperatore. Una posizione che significava anche onori a profusione. Mozart arriva a Vienna nel 1781 e la convivenza crea l’ambiente per una sana concorrenza, alimentata anche dal fine senso per la musica di Giuseppe II. Tutto qui. Abbondano però le malelingue. Forse il padre di Mozart, piccato per l’insuccesso di “Le nozze di Figaro”, forse il poeta Giovanni Battista Casti, cominciano a mettere in giro falsità. Alla morte di Mozart la situazione peggiora.  

Seriamente ammalato, cieco, Salieri passa l’ultimo anno e mezzo della sua vita in ospedale a Vienna e, sembra, si autoaccusi di aver procurato la morte di Mozart con un veleno. La storia prende piede e viene riportata da differenti fonti come veritiera. Era però un pettegolezzo che girava da tempo, se già nel 1822 Salieri rispondeva a Rossini che lo punzecchiava tra il serio e il faceto sul suo coinvolgimento nella morte di Mozart: “Le sembro un assassino?”. Ritornerà sull’argomento con il musicista ceco Ignaz Moscheles, che lo visita in ospedale quando ormai gli manca poco da vivere: “Posso in assoluta buona fede assicurare che in quella vicenda non c’è nulla di vero”. Salieri muore nel maggio 1825, ma non passa poco tempo che il drammaturgo Puskin fiuta l’intreccio drammatico della vicenda e compone “Salieri e Mozart” –titolo provvisorio: “Invidia”, una cosina da 231 versi-, proponendo al pubblico la leggenda dell’avvelenamento che fino a quel momento era rimasta relegata nei circoli musicali. Finita qui? No, perché nel crepuscolo dell’Ottocento, Rimsky Korsakov pensa bene di trasformare il canovaccio puskiniano addirittura in un’opera. Lo fa inserendo. con tocco da maestro. la storia dello sconosciuto che commissiona il Requiem a Mozart. Dettagli che poco a poco creano un’opera di fantasia che l’inglese Peter Shaffer riprende nel 1979 per il teatro. Da lì, il passo al grande schermo con “Amadeus”.


Il regista Forman avvisa nelle interviste che si tratta di una libera interpretazione, una fantasia sulla relazione tra Salieri e Mozart. Ma non è abbastanza. La bufala prende piede e per più di un ventennio dall’apparizione del film, Salieri viene additato come il musicista invidioso che provocò la morte di Mozart. L’idea è morbosa, adatta al grande pubblico, che si ciba di sensazionalismo. Bufala storica a cui molti credono e pochi sdoganano per quello che è, una storiella da cinema. Documentarsi, infatti, costa tempo, meglio andare per le spicce: se c’è un film che ha vinto otto Oscar, deve essere vero. Per Antonio Salieri sono tempi grami. Poi, poco a poco, la lenta e dovuta riabilitazione.

Due parole sul decreto cittadinanza

La notizia ha fatto in fretta il giro del mondo e l’ha fatto perché l’Italia è una madre feconda che ha lasciato figli un poco ovunque. Mano...